Fra tanti affannati interpreti della “società civile”, ci voleva un politico di lungo corso come Giorgio Napolitano per segnalare l’incombere di una “questione sociale” e per ricordare, con le parole di Benedetto Croce, che “senza politica nessun proposito, per nobile che sia, giunge alla sua pratica attuazione”.
Dalla questione sociale, del resto, nasce la politica moderna. Per affrontarla, più di cent’anni fa, nacquero prima i partiti socialisti e poi altri partiti che si sforzarono a loro volta di interpretare i bisogni e gli interessi dei ceti sociali che la rivoluzione industriale aveva formato, soppiantando consorterie notabilari o clericali spesso animate dai più nobili propositi.
Anche oggi, nel pieno della terza rivoluzione industriale, la società civile non è il regno dell’armonia, ma il luogo in cui si apre una “questione”: con buona pace dei Dulcamara che intendono “rappresentarla” così com’è, e dei Capitan Fracassa che addirittura vogliono guidarla alla “rivoluzione” cominciando con lo stuprare l’icona del “Quarto Stato” di Pelizza da Volpedo.
Sulla Repubblica di oggi Barbara Spinelli li definisce I Guidatori, ed ammette che Capitan Fracassa avrebbe ragione “se guardiamo alla nostra storia postbellica e ricordiamo come a ritmi regolari sia degenerata in storia criminale”; e che avrebbero ragione i Dulcamara se fosse vero “che il conflitto di idee non sia che rissa letale, e che il grande unico rimedio sia la Repubblica dei Sapienti”.
Per la verità i ricordi della Spinelli sulla nostra storia postbellica non sono i miei, e fra la “rissa letale” del recente passato e la prospettiva imminente della “Repubblica dei sapienti” ci sono più cose di quelle che non sappia la sua filosofia. Ma resta Il fatto che i Guidatori pullulano, mentre latitano le Guide. E che il popolo del “Quarto Stato” non seguiva un Guidatore, ma si costruiva una Guida.
Di una guida (di un progetto, di un itinerario, di una bussola) ha bisogno anche il Quinto Stato, quello che la fantasia di Mario Ceroli ha sovrapposto al Quarto (in questo caso senza stupro). E bisogna essere grati al Capo dello Stato per avercelo ricordato, e per averci impegnato a ricostruire la politica a partire dalla nuova questione sociale.
Un uomo con la storia e la cultura di Giorgio Napolitano non usa l’espressione “questione sociale” a caso. L’allusione, sfuggita ai gazzettieri, alla situazione di fine ottocento credo sia intenzionale. A quei tempi socialisti e liberali unirono le forze contro ingiustizie sociali macroscopiche. Pensando alle prossime elezioni dovremmo tener ben presente questo monito di Napolitano.
In tanti hanno colto la capacità del presidente Napolitano di porre al centro dell’interesse politico la questione sociale. Forse non molti, però, hanno notato un passaggio per così dire lessicale del suo discorso di fine anno agli italiani: non di semplice disagio si tratta, bensì, per l’appunto, di questione.
E qui c’è da discettare. Disagio è parola probabilmente abusata, in diversi ambiti, a motivo della sua capacità evocativa. Indica la presenza di un problema, di una difficoltà, di un vissuto d’inadeguatezza o di incertezza poco chiaro e definibile; un vago non trovarsi bene. E nel contempo rinvia a una condizione di passività, almeno implicita. Chi è a disagio soprattutto subisce eventi e situazioni, vivendoli male. Al carattere di indeterminatezza corrisponde così un quadro esistenziale, individuale o collettivo, di passività; una sorta di posizione passiva.
Porre una questione, etimologicamente, vuol dire invece porre una domanda, un’istanza. La questione ha un carattere aperto; è possibile rispondere in più modi, anche assai dissimili. Nel contempo, però, i contorni del fenomeno che investe persone o gruppi tendono a manifestarsi con maggiore chiarezza, pur nella loro complessità. Questione agraria, questione meridionale, questione operaia, questione ambientale, questione femminile e via proseguendo rappresentano ciascuna un corpus e un intreccio di temi, problemi, interrogativi, enigmi, punti di vista, prospettive, interessi tali da presentare una fisionomia e una sorta di Dna, anche se difficile da decodificare.
Il disagio sovente è per così dire astorico, estemporaneo, “puntiforme”, persino qualora persista indefinitamente. Le questioni hanno invece una loro pur mutevole identità e si situano in un percorso storico, con le loro metamorfosi, il loro acuirsi, il loro attenuarsi.
Insomma: dietro tale distinzione riusciamo a scorgere tutto l’acume e la lucidità del presidente Napolitano.