Che cosa significa il discorso di insediamento di Napolitano? Limitarsi a sostenere che si è trattato di un «discorso ferreo», di un colpo di frusta ai partiti, lascia indefinito il problema politico che il Capo dello Stato ha posto e sviluppato. L’elezione di Napolitano non segna un passo indietro del M5S. Il M5S è riuscito ad imporre all’elezione del Presidente della Repubblica il senso politico di un’operazione diretta ad opporre il «sistema dei partiti» alla «volontà dei cittadini». «La Repubblica, quella che si dice democratica e fondata sul lavoro, ieri è morta», ha scritto Grillo.
Napolitano è, oggi, il rappresentante dei partiti, e non dell’unità nazionale. La sua elezione è arrivata troppo tardi, già significata dalla rappresentazione di piazza dell’opposizione tra un Presidente «del popolo» (Rodotà) ed il Presidente dei «partiti» (i cartelli in piazza: «Napolitano non è il mio presidente», «Rodotà resta il mio presidente»). I partiti sono riusciti – cosa fin troppo facile – nell’elezione del Capo dello Stato, ma non nel più arduo compito di conferire, mediante la stessa elezione (mediante la sua rappresentazione), la legittimazione di cui l’autorità del Capo dello Stato ha bisogno per svolgere il ruolo politico.
Lo scarto è quello tra «potere neutro» e «quarto potere». Affinché il Presidente della Repubblica possa operare come garante dinamico della Costituzione– come Napolitano è riuscito a fare nel suo precedente settennato – è necessario che, attraverso il sistema di rappresentazioni che la sua elezione ed il consenso delle forze politiche produce, egli sia dotato non solo di un certo «potere» (che, di per sé, è quello dettato dalle disposizioni costituzionali), ma anche di un particolare prestigio e rispetto che gli consente di legittimarsi come rappresentante dell’unità nazionale.
Grillo ha ragione quando afferma: «Quando hanno applaudito l’elezione di Napolitano, quello non era un applauso a Napolitano, ma un applauso a loro stessi. Un applauso di scherno». Il M5S è riuscito a neutralizzare i meccanismi che consentono di imporre all’elezione del Capo dello Stato non solo il senso di un accordo in Assemblea tra i partiti, ma anche il senso della ricostituirsi del paese a partire da un’unità politica. Ciò non è avvenuto: Rodotà / Napolitano è la linea che impedisce questo momento di unità, il quale è alla base della legittimazione politica del Capo dello Stato come «quarto potere» (Guarino), flessibile ed elastico, la cui funzione essenziale è la capacità di intervento nei momenti di “blocco” del sistema.
Il discorso di insediamento di ieri, in questo senso, è attraversato e significato non dall’applauso dei partiti, ma dal mancato applauso da parte di un terzo del Parlamento. Cosa implica tutto questo? Implica una ridefinizione della legittimazione di Napolitano. I partiti si illudono, in questi giorni, che il Presidente possa esercitare quell’autorità indispensabile a garantire ed assicurare il mantenimento di un accordo costituzionale Pd – Pdl, come è riuscito a fare nell’anno precedente. È un altro Presidente, quello che è stato eletto: un Presidente che non legittimerà i partiti, ma che dovrà, al contrario, essere legittimato dai partiti.
Senza una rilegittimazione del sistema dei partiti – attraverso un accordo costituente di lunga durata tra Pd e Pdl – l’autorità del Capo dello Stato sarà costretta a rimanere «neutrale», perché priva di forza sufficiente per imporsi nei momenti di crisi. È questo il senso delle sue parole di ieri: «Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese […] Mi accingo al mio secondo mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione “salvifica” delle mie funzioni; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite, oltre che con immutata imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce».
La questione è così rovesciata: sono adesso i partiti politici che dovranno – e, temo, non vi riusciranno – costruire un’alleanza definitiva per la formazione di un governo stabile, ossia di legislatura.
Non sono i partiti che hanno bisogno del Presidente, ma è il potere del Presidente della Repubblica che, in quanto garante dinamico dell’equilibrio democratico, si costituisce soltanto all’interno di un sistema fondato sui partiti: «Non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del metodo democratico» (Napolitano).
Non discorso «ferreo», non prova di forza, ma, diversamente, definizione di un certo assetto politico che è indispensabile alla legittimazione dello stesso Presidente della Repubblica: il rapporto tra funzione parlamentare e forma partito («Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche»).
Per Napolitano, non c’è democrazia rappresentativa senza il partito politico. E non c’è Parlamento senza la separazione tra eletti ed elettori, senza il senso del meccanismo rappresentativo che si esplica nel libero mandato: «Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto – se si preferisce questa espressione – si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale».
In questo momento quello del Capo dello Stato è un potere debole, e Napolitano ne è perfettamente consapevole. Per questo impone ai partiti il compito di rafforzarlo, attraverso il ripristino dell’unità politica. Ossia attraverso una legislatura costituente, fondata sull’alleanza tra Pd e Pdl.
Le circostanze, tuttavia, sembrano rendere sempre più difficile questo accordo. Il M5S è riuscito ad imporre l’inizio dello spostamento dell’elettorato del Pd; ad imporre, cioè, il ripristinarsi dell’ «antiberlusconismo» come illusione di separazione tra destra e sinistra. Illusione, ossia ideologia. Ciò non soltanto perché non esiste più, storicamente, il «berlusconismo», ma anche perché lo stesso Grillo è consapevole del fatto che questo particolare tipo di opposizione (Pd/Pdl, destra/sinistra fondata sulla separazione “berlusconismo/antiberlusconismo”) non è che una falsa rappresentazione strumentale ad assicurare al M5S la possibilità di portare a compimento la dissoluzione del Pd. Grillo lo ha ripetuto in conferenza stampa: «Non siamo un movimento di destra o di sinistra: una buona idea è una buona idea, non è di destra o di sinistra». Né destra, né sinistra. Soltanto noi o loro: «Noi o loro, ora la scelta è semplice. Coloro che oggi sono designati al comando della Nazione sono i responsabili della sua distruzione».
L’opposizione Napolitano / Rodotà prosegue in questi giorni perché è funzionale ad impedire l’alleanza Pd-Pdl: è funzionale a far sì che la linea del M5S noi – loro possa convertirsi, per l’elettorato di sinistra, in quella berlusconiani – antiberlusconiani. Così nell’intervista rilasciata da Rodotà per il Manifesto si afferma: «Non posso mettere fra parentesi il fatto che la larga intesa si fa con il responsabile dello sfascio e della regressione culturale e politica di questo paese [Berlusconi].[…] Larghe intese? Il protagonista è Berlusconi». Ed aggiunge: «Non mi pare che siano andati in parlamento con la dinamite. Come si fa a dire che il Movimento 5 stelle è incostituzionale quando anche su Repubblica con tanti abbiamo riflettuto sull’incostituzionalità del berlusconismo?».
Questa è la linea di Napolitano, o piuttosto il suo opposto? Napolitano ha articolato il suo discorso a partire dalla netta separazione tra Pd e Pdl, da una parte, e M5S, dall’altra. L’alleanza deve essere tra i primi per escludere i secondi: per costringerli all’opposizione, e solo una volta costretti per 5 anni in questa posizione «istituzionalizzarli» attraverso il lavoro parlamentare. Per Napolitano il «berlusconismo» non esiste più, proprio perché è esistito. Per Rodotà il «berlusconismo» deve ancora esistere, è l’ideologia che le «alleanze» volute da Napolitano imporrebbero.
Ancora le due linee si contrappongono. Il M5S non ha applaudito, ed è questo che spezza la legittimazione del Capo dello Stato. Rodotà rovescia il punto, e si dichiara «scandalizzato: mentre Napolitano diceva dell’irresponsabilità dei partiti, quelli applaudivano invece di stare zitti e vergognarsi. Hanno perso la testa». Il M5S non parteciperà, sembra, alle consultazioni, mentre i deputati e senatori incontreranno Rodotà, il quale – riporta la stampa – avrebbe «chiesto di conoscere direttamente i parlamentari ‘grillini’ che hanno sostenuto, fino in fondo, la bontà e la necessità della sua candidatura».
Se passerà – e continuerà a passare, senza un accordo definitivo Pd-Pdl (Grillo, oggi, ha ripetuto: «I partiti lottano per la sopravvivenza e la rielezione di Giorgio Napolitano equivale a un subdolo colpo di Stato») – l’idea che la legittimazione di Napolitano è oggi una legittimazione che proviene dalla «partitocrazia» e non dal voto dell’Assemblea, dei rappresentanti della Nazione, il potere del Capo dello Stato sarà segnato da una pericolosa debolezza.
Il corto circuito è stato creato dal porcellum: i parlamentari nominati dai partiti non eletti dal popolo hanno minato il concetto di rappresentanza, ma questo vale anche per M5S.