Ieri sono stati proclamati santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. A parte la grande diversità dei due sia sul piano personale che su quello caratteriale, si celebrano due grandi figure della Chiesa e della storia recente. Non entro nella complessità del processo di canonizzazione. Dico solo che mi piacerebbe che Santa Madre Chiesa, invece di porre alla base della santificazione, oltre che la santità della vita, i miracoli individuali – secondo il riferimento evangelico “i ciechi vedono, gli storpi camminano” – prendesse in considerazione soprattutto i miracoli collettivi, sempre che si potessero misurare e verificare. Mi spiego: sarebbe importante che i santificandi, all’uopo invocati, incidessero con miracoli non solo sui tumori che scompaiono, ma anche su milioni di bambini che muoiono di fame o di malattia, sulle stragi di innocenti che si ripetono anche per testimoniare la fede, come in Nigeria, e così via. So bene che è un discorso complesso che non si risolve in un articolo: ma fra la gente si sente troppo il bisogno del miracolo individuale per confermare le ragioni della fede.
Tornando alla santificazione dei due Papi, la mia emozione è fortemente legata a Giovanni XXIII: ho vissuto l’entusiasmo e la sorpresa gioiosa del suo manifestarsi, l’emozione delle sue parole semplici ma efficaci, che andavano diritte al cuore, la fermezza autorevole delle sue posizioni (di cui fondamentale fu quella per la crisi determinata dai missili sovietici in viaggio verso Cuba), il suo impegno per la pace nel mondo (di cui alla magistrale Enciclica “Pacem in terris”), la volontà ferma di rinnovare la Chiesa contro tutti i freni, curiali e non, di cui alla proclamazione del Concilio Vaticano II.
Sono stato nella sua casa a Sotto il Monte in provincia di Bergamo, guidato – insieme agli amici del Collegio Augustinianum della Cattolica – dal nostro assistente spirituale don Mario Giavazzi, bergamasco e giovanneo purissimo, che ci fece cogliere con chiarezza il messaggio di libertà e di liberazione che veniva da quel grande Papa, che teorizzò la distinzione fra l’errore e l’errante ed aprì nuove frontiere non solo per la Chiesa. E vi assicuro che il ricordo di aver ascoltato “in diretta” il discorso della cosiddetta “carezza del Papa” ancora oggi mi fa venire i brividi.
Ho quasi quarant’anni e ho sentito quel discorso solo attraverso i mezzi di comunicazione, ma la prima volta ho pianto e mi emoziona sempre risentirlo. Di questi tempi consola e fortifica avere un papa come Francesco, che credo abbia molto di San Giovanni XXIII. Saluti socialisti (…e cristiani)!