Nei giorni in cui in Italia si ricorda il 90° anniversario del delitto Matteotti – con eventi che non toccano solo la sensibilità degli anziani – Milano ha dedicato due giorni a una figura forse meno nota dell’antifascismo italiano, che di Giacomo Matteotti fu segretario (a lui presentato da Filippo Turati) e che da quella esperienza maturò i convincimenti che lo portarono nel settembre del ’43 alla difesa militare di Roma contro i nazisti per poi tornare nel paese natale (Torricella Peligna in Abruzzo) dove – dopo arresto e fuga da un carcere tedesco – cominciò, radunando quindici uomini (che in piena resistenza furono 1.500), la creazione di una delle formazioni più importanti della lotta di liberazione del centro-sud in Italia: la brigata “Patrioti della Maiella”.
Parliamo di Ettore Troilo, avvocato e volontario nella prima guerra mondiale, comandante di una formazione armata coordinata con l’esercito italiano che rifiutava le mostrine sabaude, combatté in terra d’Abruzzo, fu la prima unità della resistenza che entrò a Bologna e si spinse nella guerra al nazifascismo fino ad Asiago.
Socialista di orientamento riformista, in tempo di guerra simpatizzante per gli azionisti, legato a Milano dalla professione legale e dalla frequentazione di casa Turati, Troilo fu il successore di Riccardo Lombardi, che per alcuni mesi dopo il 25 aprile fu il primo prefetto della Milano liberata, di nomina politica. E di nomina politica fu anche Troilo, voluto dal CLN Alta Italia, a capo della sicurezza (ma anche a mediazione delle vertenze sindacali, del processo di ricostruzione, del presidio attorno alle più delicate relazioni tra territorio e governo nazionale), nel corso di tutto il 1946 e di quasi tutto il 1947. In questi due anni si saldò l’amicizia e la sinergia politica e istituzionale tra il prefetto Troilo e il sindaco Greppi. Due socialisti simili, due protagonisti della Milano liberata, due uomini diversi dai democristiani largamente ispirati da Ildefonso Schuster (cardinale di Milano dal 1929 al 1954) e dai comunisti reduci dalla resistenza, in parte ancora armati e sensibili, in quegli anni di turbolenza, anche a figure surriscaldate come Giancarlo Pajetta.
Il governo De Gasperi – per iniziativa di Scelba (ma, va detto, senza l’opposizione di Romita) – prendendo la decisione di eliminare la condizione eccezionale dei prefetti di nomina politica, dimissionò Troilo il 27 novembre del 1947, per sostituirlo con una prefetto di carriera statale, eredità del regime. Partiti e movimenti della sinistra reagirono con manifestazioni pubbliche alla rimozione, finché una parte dei manifestanti – che comprendeva anche ex-partigiani armati – occupò la prefettura di corso Monforte con la decisione del prefetto Troilo – di intesa con il generale Capizzi – di accasermare le forze armate evitando lo scontro fisico e lasciando agli occupanti la possibilità di libero ingresso considerandola la scelta meno gravosa di conseguenze. Scelta che gli produsse la riprovazione del governo e la sola difesa da parte democristiana di Achille Marazza (rappresentante della DC nel CLN Alta Italia, sottosegretario all’Interno del V° governo De Gasperi di cui appunto era Ministro Mario Scelba).
Era finita una stagione, la guerra fredda era dichiarata, De Gasperi e Togliatti sapevano che la scelta geopolitica dell’Italia era definita e che l’Italia non doveva fare la fine della Grecia piombata nella guerra civile. A Pajetta, che comunicava a Togliatti con enfasi l’occupazione della Prefettura di Milano, Togliatti rispose con la celebre battuta “E per farne cosa?”.
La condizione della difesa politica del ruolo di Troilo così svaniva e il patriota Troilo faceva un passo indietro, passo confermato quando alle elezioni rifiutò di occupare un posto in Parlamento “per scivolamento” (cioè per dimissioni di qualche eletto a avanti a lui), così come rifiutò altre posizione compensative (tra cui l’incarico di delegato all’ONU). Tornò a fare l’avvocato assicurando alla sua vicenda il nitore di una grande, generosa e diamantina condizione.
Questo il racconto che ha impegnato lunedì 9 giugno, per tre accaldate ore serali al Circolo De Amicis a Milano, Mario Artali, Carlo Tognoli, Nicola e Carlo Troilo (figli di Ettore Troilo), gli abruzzesi Giovanni Legnini (sottosegretario all’Economia), Luciano D’Alfonso (neoeletto presidente della Regione) e Nicola Mattoscio (presidente della Fondazione Brigata Maiella), gli storici Giorgio Galli e Marcello Flores, Paolo Franchi (autore nella stessa giornata del fondo sul dorso di Milano del suo giornale, il Corriere della Sera, dedicato al “prefetto politico”).
E grazie a questo racconto – e alla tenacia di Giovanni Legnini – il 10 giugno milanesi e abruzzesi hanno celebrato laicamente insieme la posa della targa in Prefettura, accanto a quella dedicata a Riccardo Lombardi, per ridare legittimità in quella sede alla figura di Ettore Troilo.
Una serata molto ben sceneggiata tra i numerosi intervenuti, ciascuno capace di scoprire lembi di una storia dai molti risvolti largamente centrata sulla relazione identitaria tra Milano e gli abruzzesi e sul contesto particolarissimo e ancora ricco di storie edificanti della Milano della ricostruzione.