Ciò che separa il Movimento 5 Stelle dalle forze politiche della Sinistra italiana non è né la forma né il “programma elettorale”, ma qualcosa di più profondo, ossia la giustificazione della propria legittimità politica. Spinoza ha per primo tracciato la differenza tra due tipi di potere: quello del “tiranno / schiavo” e quello dell’uomo libero. Il primo si definisce come quel potere che trae la propria legittimazione facendo leva sulle «passioni tristi» degli uomini, sul loro risentimento. Ciò che implica tristezza esprime lo schiavo e, con esso, il tiranno, dirà Spinoza. Esistono, in altri termini, specifiche “figure” della politica – come il prete, il tiranno e, aggiungerei perché pertinente al nostro caso, il “comico” – che derivano «il proprio potere dalle passioni tristi che inducono negli uomini» (Deleuze, il quale precisa: «Il tiranno ha bisogno della tristezza delle anime per riuscire, così come le anime tristi hanno bisogno di un tiranno per sovvenirsi e propagarsi. Ciò che li unisce è in ogni caso l’odio della vita, il risentimento contro la vita»). Contro il potere tirannico, si dà invece quel potere che si legittima a partire dalle “passioni gioiose”, dalle passioni vitali degli uomini: è, questa, l’essenza di ogni potere che possa dirsi autenticamente rivoluzionario.
Per questa ragione – semplice, e quasi ovvia – non ci si deve attendere alcuna rivoluzione dal Movimento 5 Stelle, ma soltanto una lunga schiavitù. Il Movimento 5 Stelle esprime, infatti, un tipo potere che è proprio, che implica una morale degli schiavi, una morale del risentimento, fondata sulle passioni tristi degli uomini, sui loro sentimenti di invidia, vendetta, sulla loro “cattiva coscienza”, sulla «più grande e la più sinistra delle malattie» (Nietzsche). La distinzione tra “reazione” e “rivoluzione” passa attraverso quella tra passioni tristi (“impotenza”) e passioni gioiose (“potenza”). Nietzsche ha spiegato perfettamente la natura reattiva del risentimento, inteso come una sorta di “volontà di potenza” rovesciata, negativa. La “reazione” segue sempre passioni mortifere, segue il “culto della morte” (ed è essenzialmente in questo aspetto che il fascismo è reazionario, e non rivoluzionario). Il Movimento 5 Stelle incarna lo spirito del ressentiment, ed il suo leader, il comico, è tale perché fa leva sugli «affetti reattivi»: vendetta, invidia, rancore. Se esprime una “protesta”, nega ogni divenire-rivoluzionario: è unicamente reazione.
La “rivoluzione”, al contrario, è sempre volontà di potenza: è praxis che esprime gioia, e non “risentimento”. Marx ha scritto parole durissime contro il «comunismo rozzo» che si fonda sull’invidia e la «brama di livellamento» (Proprietà privata e comunismo) . Anche Engels ha precisato come «a nessun comunista viene in mente di voler esercitare o di credere soprattutto all’effetto di singole vendette» (Situazione della classe operaia in Inghilterra). Il divenire-rivoluzionario è l’espressione-affermazione di potenze vitali, è liberazione, per prima cosa, «dallo spirito di vendetta», ossia, per servirsi di un’espressione di Heidegger, «da ciò che vi è nella volontà di avverso e di abbassante». La rivoluzione, anche quando è violenta, non è mai «un’ assurda tempesta né il risorgere di istinti selvaggi e nemmeno effetto del risentimento: è l’uomo stesso che si ricompone» (Sartre).
L’errore storico della Sinistra italiana è stato quello di identificare la svolta “riformista” con l’abiura del carattere rivoluzionario della propria politica, senza pertanto comprendere che è soltanto questo carattere fondamentale – il “divenire-rivoluzionario” – a differenziare la Sinistra da tutte le altre forze ed ideologie politiche. È in questa perdita che – dietro le accentuazioni moralistiche – in Italia si è formata una vera e propria “sinistra del risentimento”[1], ossia una forza essenzialmente reazionaria, cui ora il Movimento 5 Stelle fa, legittimamente, concorrenza. Grillo costituisce, per la Sinistra, una “minaccia” soltanto nella misura in cui la stessa Sinistra italiana ha cessato di comprendere se stessa a partire dalla reale natura rivoluzionaria della propria identità, ed è divenuta un socialismo del risentimento, contro cui valgono ancora le parole di Nietzsche.
Non è, allora, possibile comprendere la natura del Movimento 5 Stelle se si è perduta – per usura – la differenza tra «rivoluzione» e «reazione». Grillo fa suo un termine preciso, di cui tuttavia si è perduto il significato ed il senso (“Via alla rivoluzione”, “rivoluzione di civiltà in Italia”, “atto rivoluzionario”, “la nostra non è una rivoluzione politica. No! A noi non interessa sostituirci ai politici. La nostra è una rivoluzione culturale”). La circolazione di questo nuovo linguaggio trova impreparata la Sinistra italiana “riformista”, la quale non sa se accusare Grillo di fascismo («sono linguaggi fascisti a noi non ci impressionano») o del suo opposto («Gli fa un baffo a Grillo, Lenin»). La Sinistra italiana deve assumersi la responsabilità che il termine “rivoluzione” implica: deve rivendicarlo per sé, e non lasciarlo confondersi con tutto ciò che esprime una “protesta”. È impossibile, del resto, distinguere reazione e rivoluzione se ci si limita a cercare di definirle sul mero piano “istituzionale” o “politico”: come notava Gramsci, infatti, «la reazione è caratterizzata da una forma di organizzazione statale eguale all’organizzazione statale rivoluzionaria: dalla concentrazione dei poteri in un solo organismo politico». La loro distinzione attiene al piano dell’etica (e non, si noti, della morale) o, se si preferisce, all’opposizione tra linee di morte e linee vitali.
Dal Movimento 5 Stelle non ci si può attendere che la vittoria dei “valori tristi”: «i miserabili solo sono i buoni, i poveri, gli impotenti, gli umili solo sono i buoni, i sofferenti, gli indigenti, i malati, i brutti sono anche gli unici a essere pii» (Nietzsche). Non c’è nulla di rivoluzionario in questa morale degli schiavi. C’è, piuttosto, la “filantropia” tipica di un certo registro comico, il suo amore per il “povero”, la sua bontà reazionaria. Tutto è “povero” (ed il “povero” sta al “proletario” come la reazione alla rivoluzione): studenti, agricoltori, operai, impiegati, poliziotti, laureati (a proposito di una manifestazione studentesco, Grillo dichiara: «una guerra fra poveri. Io non ho mai visto i poliziotti manganellare un politico corrotto o un banchiere, ma ho sempre visto manganellare studenti, agricoltori e operai»). Il riso “rivoluzionario” è quello folle e gioioso di Zarathustra, il riso di Grillo è quello triste e conservatore del predicatore. Il comico del Movimento 5 Stelle è l’uomo del ressentiment, l’anti-rivoluzionario per definizione: tutto è risentimento per Grillo[2], tutto è impotenza. Grillo è la tarantola, il “predicatore dell’uguaglianza” sulla base di un sentimento di vendetta, che “salta fuori” dietro le sue parole di “giustizia”: «Voi predicatori dell’uguaglianza, la follia tirannica dell’impotenza grida in voi chiedendo “uguaglianza”: le vostre più segrete voglie tiranniche si travestono dunque da parole di virtù» (Nietzsche). Il comico, come il prete, è il «modificatore di rotta del ressentiment» (Nietzsche). Dal Movimento 5 Stelle non ci si può attendere alcuna “rivoluzione”, alcun superamento di sé, alcun atto di libertà, ma soltanto spirito di vendetta. Il V-Day, quello che Grillo definì «un virus, che deve arrivare dappertutto», aveva già il senso reazionario della “V per Vendetta” (film altrettanto reazionario, film delle “passioni tristi”). Virus, una malattia, una linea di morte, come Grillo ha ripetuto pochi giorni fa: «Il M5S è un virus che non si ferma più». Un’altra parola viene ossessivamente utilizzata dal Movimento: “vergogna”, vergognatevi, siete degli “infami”. Grillo costringe chi attacca a vergognarsi, a sentirsi “colpevole”. C’è qualcosa di mortifero nel suo linguaggio: lo sfruttamento del risentimento dei suoi elettori, l’idea che la rivoluzione coincida con la “rivolta degli schiavi”. «La vita stessa è accusata, separata dalla sua potenza, separata da ciò che può» (Deleuze). È forse una forza rivoluzionaria quella rappresentata dai «giovani adulti che lavorano»[3], “bacino elettorale” di Grillo? Non sono, questi trentenni e quarantenni diplomati, piccolo-borghesi, da poco entrati nel “mondo del lavoro”, quanti sono ormai passati dalla giovinezza all’ “età della ragione”, che non è che l’età della rassegnazione?
Se la Sinistra non comprende ciò che la differenzia realmente dal Movimento 5 Stelle e da tutte quelle forme di “ribellione” o protesta fondate sul risentimento, essa merita di trasformarsi – se ciò non sia già avvenuto – , in “riformismo” reazionario. Semplicemente: non può esistere una Sinistra non rivoluzionaria.
[1] Cfr., sulla scorta delle analisi di Wendy Brown, I. Dominijanni, La memoria contro il rancore: la Sinistra del Risentimento, in «Il Manifesto», 20 Settembre 2012.
[2] Cfr. F. Merlo, Insulti e nomi storpiati, la gogna triste di Grillo, in «La Repubblica», 12 Novembre 2012.
[3] Cfr. N. Maggini, Il bacino del Movimento 5 Stelle: molti giovani adulti che lavorano, e soprattutto diplomati.
Va ad onore e merito di Tommaso Gazzolo aver reso attuale e vitale un luogo classico della storia della filosofia: quello in cui Nietzsche elabora l’idea di una “morale aristocratica” da opporre alla “morale degli schiavi” basata sul “risentimento” che è stata predominante in Occidente.
E’ un luogo tanto importante quanto dimenticato, forse perché è stato associato da certo umanitarismo democratico politicamente corretto ad un presunto e inesistente Nietzsche anticipatore del nazionalsocialismo. Esso invece si mostra particolarmente fecondo per leggere da un angolo prospettico non secondario fatti e movimenti del nostro e forse di ogni tempo.
La lettura che Gazzolo fa, da questo punto, del movimento di Grillo è a dir poco esemplare. Eppure, c’è un elemento che non mi convince nell’analisi dell’autore, che a volte mi sembra mossa quasi da una sorta di snobismo intellettuale che vuole épater i benpensanti sempre e comunque, a prescindere: l’elogio della rivoluzione, dello spirito e del movimento sovvertitore di ogni potenza in atto. Quello che a me sembra proprio non reggere è l’identificazione del potere legittimato dalle passioni positive, quelle gioiose e vitali della “morale dei signori”, con il potere rivoluzionario. Non basta distinguere, secondo me, le passioni positive o di vita da quelle “tristi” o di morte. La distinzione ulteriore che occorre introdurre per precisare e complicare il quadro è, io credo, quella fra passioni “forti” e passioni “calme”, di cui le prime sono positive solo in apparenza e le seconde lo sono in senso sostanziale.
Episodi storici come il terrorismo italiano delle Brigate Rosse sono stati sicuramente reattivi e intrisi di passioni tristi, ma lo stesso non può dirsi del comunismo e del fascismo soprattutto se colti allo stato nascente. E’ vero che certa sinistra ha amato e ama parlare del fascismo come di un movimento reazionario, ma la verità è che la “rivoluzione fascista” si definì non a torto tale: accanto al momento rivendicativo, che dimostra come si può costruire una rivoluzione anche sulle passioni tristi, era presente anche una forte linea dannunziana, futuristica, gioiosamente seppur violentemente creativa.
Venendo poi a movimenti a noi più vicini, anche i cosiddetti “neocon”, con le loro idee guida di “rivoluzione conservatrice” o della “esportazione della democrazia”, hanno avuto una visione rivoluzionaria e creativa e non reattiva rispetto alla realtà che vivevano.
Il fatto, ripeto, è che le passioni veramente positive e vitali, soprattutto gioiose, sono, anche in politica, le “passioni calme” e non le “passioni “forti”. Tanto per fare un esempio: una sbronza ci può anche far toccare il cielo con un dito, ma è la condizione di un attimo. Generalmente poi ci si sveglia con un forte mal di testa. Meglio perciò “dir di sì alla vita”, nietzschianamente, ma mostrandosene padroni e dominatori, ovviamente nei limiti consentiti dall’umana finitezza. Non mettendosi in atteggiamento passivo di fronte ad essa. Il mix auspicabile è quello che si ottiene non estirpando, ma controllando le forze vitali. E questo vale nella vita individuale come in politica, nella società come in economia. L’equilibrio a cui tendere è sempre precario e transitorio, sempre insidiato: equilibrio fra equilibrio e disequilibrio.
La passione per le passioni dolci, mi si scusi il bisticcio, è sempre preferibile. Ed essa ha un solo ed unico nome, a cui purtroppo raramente corrisponde un fatto, anche a sinistra. Questo nome, antico e glorioso. È riformismo.
Chiedo scusa a Corrado se limito la replica a poche righe. Forse si potrebbe tentare di far passare nuovamente il tema da Nietzsche a Spinoza. Si potrà, allora, distinguere le “passioni” dalle “potenze”. Che siano “tristi” o “gioiose”, le passioni restano sempre sul piano dell’essere-affetto, ossia su un piano passivo (Si deve, a scanso di equivoci, precisare che, quando si parla di “passioni”, non si sta parlando né di una “questione di cuore” né di “sentimenti”). Su questo piano, come diceva Deleuze, resto ancora nella passione perché «non la possiedo, sono ancora separato dalla mia potenza d’agire», non sono «causa dei miei affetti». Potrebbe dirsi, in questo senso, che il divenire-rivoluzionario coincide anzitutto con il passare dall’affetto alla potenza, dall’essere-passivo alla potentia agendi, alla “forza di esistere” (vis existendi). Il concetto di “rivoluzione” potrebbe, allora, legato alle passioni gioiose, ma intese come il mezzo attraverso il quale si possa passare dal piano degli affetti a quello dell’agire. La rivoluzione dovrebbe consistere nel passaggio alla “conoscenza della cause” in forza delle quali io sono in grado di aumentare la mia forza di esistere. Saltiamo, abbandoniamo ora l’etica di Spinoza. Corrado si serve del termine “riformismo”. Io resto dell’idea che qualsiasi forza politica possa essere “riformista”, ma che soltanto la Sinistra possa (e debba) essere anzitutto rivoluzionaria. Vorrei però precisare come intendo le due nozioni, nel modo più breve possibile. Il riformismo implica, a mio avviso, pensare il presente, il restare nel presente tentando di modificarlo (o “migliorarlo”). La rivoluzione implica, invece, un movimento temporale che le è peculiare, e che riguarda il primato dell’avvenire (senza tuttavia alcuna “utopia”). È l’idea che si dia una “presenza-reale” dell’avvenire nel mondo reale. Credo, ad ogni modo, che la differenza riguardi la struttura temporale entro cui ci si pone. Avremo modo, forse, di approfondire la cosa.
E proprio con Corrado, spero.
Caro Tommaso,
che le passioni indichino l’ambito della passività, è ovvio. Nel nostro discorso mi sembra che esse abbiano assunto il significato di quelle “affettività” o “tonalità emotive” che Heidegger denota come un “esistenziali” e che, insieme ad altri a priori, costituiscono in Essere e tempo l’essere dell’Esserci. Quindi le passioni, tutte indistintamente, accompagnano un altro da sé, nel nostro discorso.
Non credo nella distinzione Destra – Sinistra, se non ad un livello orientativo e empirico. Il rischio è di finire per dire di Sinistra, alla Bobbio, tutto ciò che è bello e desiderabile (fosse pure la “rivoluzione”) e di Destra il contrario. E perché? Il discorso sul tempo è interessante, con l’avvertenza ovviamente che ci si mantenga nel discorso al livello del tempo spazializzato dell’orologio. Da quel punto di vista io credo che il futuro sia l’elemento determinante (Bloch parlava di “ontologia del non essere ancora”) sia in una concezione riformistica sia in una rivoluzionaria. Ciò che cambia è lo iato temporale che, nell’un caso rispetto all’altro, viene fatto intercorrere fra mezzi e fini. Da questo punto di vista il riformismo vince per la maggiore attenzione all’umano rispetto alla realizzazione dei Grandi Fini.
Ho ragionato di questi temi, cioè del rapporto riformismo-temporalità, nel mio saggio raccolto nel volume recentemente uscito da Laterza con il titolo Pensare la sinistra, a cui ti rimando (http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858106020).
Troviamo occasioni nuove per continuare il discorso. Intanto, ciao e grazie,
Corrado
Si citano i filosofi per dimostrare tutto o il contrario di tutto. Quel 20% di popolo che accorda consensi a Grillo lo fa perchè ne condivide le denunce. Altro che invidia! Il popolo è stanco di essere vittima e schiavo di una classe se-dicente dirigente che, nel XXI secolo ha esaurito il suo compito. Temo che Nenni si rivolterà nella tomba. Ma si vogliono oggi interpretare i bisogni, le aspirazioni di giustizia del popolo, rifacendosi ancora a Spinoza e Nietzsche? Allora, per descrivere il momento storico e politico in cui viviamo, più semplicemente mi basterebbe citare le prime pagine dell’opera di Vittorio Alfieri sulla tirannide. E quella definizione di tirannide sembra data leggendo le cronache politiche di oggi. Alla lettura di Spinoza e Nietzsche, oggi preferisco la lettura di un libro di Yves Sintomer: “Potere al Popolo” (ed. Dedalo). E forse sarebbe un bene se lo leggessero pure tutti i socialisti.
Cari Compagni,
spero che il termine, per voi, non sia fuori luogo.
Non capisco assolutamente di cosa state parlando.
Grillo, secondo me, esprime l’incazzatura (da lunga data), dei cittadini, secondo me “incazzatura” giustificata, contro i vari partiti che si sono succeduti al governo del nostro Paese, dal dopoguerra in poi.
C’è poco da elucubrare. C’è molto da fare e fare cose semplici ma rivoluzionarie.
Dire che gli “onorevoli” sono nostri “dipendenti” è la realtà, realtà che però molta gente, e forse anche voi che scrivete, non riesce a mettere nel quotidiano perchè, da sempre, chi comanda in una Nazione o è al comando di un popolo, ha esercitato questo potere con le buone (poche volte) o con le cattive (quasi sempre).
Quindi per la maggior parte della gente, il fatto che ci sia un “potere” quindi un “comando” che dice cosa bisogna o non bisogna fare, è la normalità.
C’è ancora molta gente che non si sogna neppure di mettere in dubbio o comunque di analizzare le parole del Papa, nè tantomeno, quello che dicono i Vangeli del Cattolicesimo.
Per loro è normale che ci sia qualcuno che comanda e questo qualcuno, anche se riserva per lui condizioni di vita e privilegi di ogni tipo, non è da mettere in discussione e quindi lo accetta.
Grillo dice che bisogna togliersi di dosso questa “pelle”, questi concetti da medioevo.
Appunto Grillo dice che bisogna iniziare ad uscire dal medioevo.
Questo va detto con parole semplici e va attuato con il VOTO alle prossime elezioni politiche.
Scusate gli errori di scrittura, ma non quello che, secondo voi, potrebbe essere un errore di pensiero.
Fraterni saluti.
Lucio Tognolo
anche la piu attenta analisi storico- culturale-filosofica del grillismo rischia di non cogliere la cruda realta, terra-terra, della evidente e conclamata arroganza politica degli attori sulla scena attuale, siano essi funzionari di partito o anche spocchiosi tecnici al governo. Senza scomodare filosofi e pensatori di ogni epoca appare comunque palese la totale ingordigia del potere di soldi ed anche di immagine slavifica di salvatori della patria. Si pesca nelle tasche della gente a colpi di voti di fiducia in parlamento ma non si fa altrettanto per potare le corna di una casta corrotta e perpetuante-
saluti socialisti.