Non vorrei passare per difensore dei sindacati dei Beni culturali. Nel mio curriculum vanto diverse condanne per comportamento antisindacale, una delle quali per aver cassato d’autorità l’accordo che consentiva ai custodi di Brera di riposare mezz’ora per ogni ora lavorata. Però c’è qualcosa che non mi convince nello “scandalo” sollevato dalla chiusura del Colosseo la mattina di venerdì. Ancora una volta si guarda al dito invece che alla luna.
Neanche la luna, però, è facile da scrutare, come impararono Dante e Beatrice nel secondo canto del Paradiso. Le macchie lunari da decifrare sono almeno tre. La prima oscura le responsabilità della soprintendenza archeologica di Roma. Non tanto per aver consentito l’assemblea. Semmai per averne informato il pubblico con quel goffo cartello col quale non si capiva nemmeno la durata dell’agitazione, con quella “a.m.” che in inglese diventava “p.m.”: il che la dice lunga sulla considerazione in cui viene tenuta l’utenza dalle parti delle soprintendenze.
Ma la macchia che oscura questa scarsa considerazione è molto più ampia di quella che copre la sciatteria di una comunicazione. E’ quella sotto la quale da almeno quarant’anni si chiacchiera di beni culturali senza mai precisare di che si tratta ed a cosa servono. Se sono solo “cose” inerti, la cui fruizione è un optional (se non un ingombro), allora è giusto che vengano custodite nella stessa logica con cui si custodivano i “beni al sole” dei latifondisti, e che la categoria dei custodi goda così di un eccezionale potere ostruzionistico. Se invece sono matrice di un’esperienza culturale, il Colosseo non dovrebbe restare chiuso perché mancano i custodi (che possono sempre essere sostituiti, magari con tecnologie che erano “nuove” nel secolo scorso), ma perché mancano manutentori, allestitori, guide didattiche e animatori culturali.
La terza macchia, infine, copre pietosamente quella “t” che quasi di soppiatto è stata aggiunta all’acronimo del ministero del Collegio Romano. Che razza di turismo di massa è quello per cui i visitatori della capitale vengono mandati a sciamare per la città senza un’informazione, un orientamento, magari una prenotazione? A che servono i pur costosi apparati pubblici che dovrebbero assisterli? Ed i tour operators cosa ci stanno a fare, solo ad intasare coi loro pullman a due piani strade e piazze del centro storico?
Oportet ut scandala eveniant, dice la Scrittura: e del resto su questi temi non è il caso di fare del benaltrismo. Ma nessuno pensi di aver risolto il problema con un decreto che equipara i custodi dei musei ai portantini ed agli autoferrotranvieri. E non solo perché neanche in quei casi i diritti dell’utenza vengono adeguatamente tutelati. Soprattutto perché il pianeta della politica culturale deve ancora essere esplorato fino in fondo.
Sì caro Covatta, va bene, ma mancano 2 parole importantissime, anzi decisive per la chiarezza e l’efficacia del pezzo: BRAVO RENZI. Che la CGIL smetta di ricattare il Paese (forte, ahinoi, delle mille non importa quanto esplicite connivenze di politici, amministratori, dirigenti e giudici del lavoro quando serve) e torni a fare il suo mestiere, reimparando ad esempio che le assemblee sono tutt’altra cosa dagli scioperi. e che dunque assai differente è il costo sociale ch’esse possono imporre alla comunità.
Meno bravo invece Franceschini, che, almeno ad oggi, poco o nulla ha detto a proposito delle responsabilità della Soprintendenza in questa brutta vicenda. E’ lui il Ministro competente. O no?
Ben individuato il buco nero di una mancanza strategica che non si risolve solo con le aperture sciatte di oggi.
Fermo restando che l’isolamento sindacale rispetto alla società ed agli umori generali è pericoloso.
Al solito intelligente e persino concreto e propositivo, solo il tono, che talora resiste, di un rivendicazionismo a “l’avevo detto” mi lascia perplesso e con esso una supponenza antirenziana che consente di non riconoscere le meravigliose campane a morto per il cigiellismo le quali annunciano finalmente l’avvento del post social-comunismo. Non basta ma e’ già qualcosa nella direzione giusta e persino con il consenso che cresce. W Renzi.
Antirenziano sarà lei! Io mi sforzo di essere renziano all’insaputa di Renzi. E non è colpa mia se l’autonomia dei musei (e l’autonomia scolastica) sono rimaste in stand by per un quarto di secolo.
Sono d’accordo al 100%. Dirò di più: non vorrei che per i sindacati, che pure su questo sono degli incoscienti autolesionisti, sia stato un bel trappolone. E cioè che già erano d’accordo che al primo scivolone sindacale gli avrebbero piazzato il decreto. A pensar male si fa peccato però…
D’accordissimo che le assemblee dei lavoratori in orario di lavoro sono e restano un di diritto, ma sono anche una furbata parapolitica che li danneggia tutti, non solo quelli di una categoria, da quando sono scelte situazioni o date ad alta valenza simbolica, come quest’anno (pochi giorni fa) il primo giorno di scuola da parte dei sindacati degli insegnanti, con esplicita intenzione anti-Renzi. Che poi, nel caso del Colosseo, sia scattata una “trappola” già pronta, nella quale sarebbero caduti i sindacati di categoria e i confederali, è un’ipotesi da dimostrare che, comunque, non ha evidentemente nemmeno sfiorato le tante menti strategiche oggi al lavoro. Resta per me discutibile che da qualche anno i media cerchino di avvertire e mobilitare l’opinione circa lo stato talora deplorevole dei servizi relativi ai beni e alle attività culturali soprattutto in nome degli interessi e del bilancio turistico dell’Italia e non, in primo luogo, della qualità della vita da assicurare ai cittadini italiani nel ‘museo diffuso’, di cui parla anche il ministro Franceschini. Lo “scandalo” del Colosseo (ben venuto) è ancora su quella strada lì.
Sottoscrivo l’articolo, aggiungerei solo che dovrebbe essere oggetto di analisi approfondita la indifferenza o insofferenza con cui la popolazione mediamente si rapporta al patrimonio artistico, perché temo che questi beni stiano realmente diventando inerti e ingombranti per molte persone.
Giusta la critica, ma la posizione sindacale è indifendibile.
Le tue osservazioni sono senz’altro pertinenti e da condividere. Tuttavia non ti sfugge certo la portata politica del D.L. del governo. L’occasione era troppo ghiotta per farsela sfuggire e la questione del Colosseo è stata solo il detonatore per far esplodere un caso che ha come posta non tanto i beni culturali quanto la trasformazione del sindacato (o meglio, della CGIL) in un altro partito della sinistra demagogica. Per non essere altrettanto demagogici adesso il governo dovrebbe affrontare i problemi che tu hai posto.
Carissimo Luigi, sono molto d’accordo, soprattutto sulla scarsa considerazione dell’esperienza culturale, quindi della valorizzazione, della comunicazione e dunque dell’utenza. Credo (spero) che il dito stavolta possa essere l’inizio del giusto percorso che porta alla luna. a presto
Concordo pienamente con Te: in pratica, Tu applichi il principio socratico del “conosci te stesso”, che deve precedere ogni ulteriore riflessione o decisione.
E, nella specie, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, guidato ancora una volta da un incompetente, non ha ancora chiarito a se stesso la propria identità, con la conseguenza che le decisioni sono frutto esclusivo del caso o della emotività mediatica.
E’ una maledizione atavica: da quando Tu sei stato responsabile del dicastero, in quanto “Sottosegretario – Ministro”, quell’Amministrazione ha avuto il pregio di essere gestita da persone totalmente incompetenti, tranne la breve parentesi di Veltroni.
Caro Covatta,
quando una macchina, tale Ministero dei Beni Culturali, soffre più di vecchia che di nobile tradizione storica s’inceppa ad ogni momento. I rottami hanno una seria necessità di sgrassamento. Troppi interventi da riforme spesso abortite l’hanno ridotta a un prodotto spesso incoerente. Come dici giustamente è indispensabile un ripensamento strutturale che affronti proprio l’etica del Bene Culturale. Tutto diventerà più semplice. E’ una strada in salita nella quale tutti hanno da riflettere e da imparare, sindacati compresi.
Bravo Renzi
Concordo con analisi e conclusioni.
Condivido l’articolo. In questa occasione, così come in qualche altro precedente per Pompei, si pensa di poter risolvere il problema per decreto e, aggiungerei, addossando la croce sui poveri quattro gatti (quattro!) che lavorano presso i siti archeologici. Ma, dico io, ci voleva un’assemblea sindacale per risvegliare nel Governo e nell’opinione pubblica questo fervente interesse per i nostri Beni Culturali e per il turismo? Beh, è proprio vero, ‘sti sindacati ne combinano sempre tante…non potevano indirla prima quest’assemblea?..Sento, con somma tristezza, odore di olio di ricino e rumori di manganelli. Dite che esagero?
Lo sapete che il ministro Franceschini aveva richiesto da più di un anno un incontro con i sindacati e che, dopo la loro disponibilità, non li ha più cercati?
Lo sapete che ai dipendenti di cui si parla da un anno circa non vengono pagati gli straordinari dovuti per mancanza di personale?
Lo sapete che data la carenza di personale non si potevano fare assemblee separate per far si che i musei potessero rimanere aperti anche in caso di assemblee in orario di lavoro?
Lo sapete che i musei di cui all’oggetto sono aperti 363 giorni all’anno?
Come spesso accade quando al centro dell’attenzione nazionale giunge il nostro patrimonio culturale la discussione diventa sempre molto “pittoresca”. L’ecosistema beni culturali italiano soffre ormai da decenni di problemi ben noti, che avrebbero soluzioni apparentemente semplici ma che molto spesso rimangono soltanto buone intenzioni mai applicate.
L’ultimo caso che ha suscitato molto clamore è la famosa assemblea sindacale che per due ore ha impedito a molti turisti di poter accedere all’area archeologica dei Fori Imperiali, Colosseo compreso. Come sottolineato Covatta, non si tratta di dare ragione ad una o l’altra parte (in questo caso sindacato/lavoratori e governo/politica) ma di comprendere che siamo di fronte ad una volontà ben radicata di non voler affrontare il problema, preferendo aggirarlo in parte guidati dall’emotività dell’evento e in parte dall’opportunità politica di spingere l’opinione pubblica verso qualcosa che distolga l’attenzione dalle vere questioni.
Basta dare anche uno sguardo all’estero per comprendere che non è il diritto di sciopero il problema del nostro patrimonio artistico/archeologico. Alla National Gallery il personale, guidato dalla Public and Commercial Services union che riunisce i lavoratori nel settore pubblico, da oltre un mese impedisce ai turisti di poter godere di oltre il 60% dell’area espositiva. Anche a Londra aleggia lo spettro della privatizzazione del settore, così come emerge anche nell’ultima parte del comunicato sindacale emesso a margine dell’assemblea che ha bloccato l’accesso al Colosseo. Non è questo il luogo per entrare nella discussione: ma è ancora una volta evidente come anche in questo caso venga fuori un po’ di quella “confusione” che caratterizza la gestione del nostro patrimonio culturale.
L’ultima riforma Franceschini ha indubbiamente introdotto delle buone cose, ma restano molte lacune che possono essere risolte soltanto con un vero e proprio cambio di mentalità nell’approccio nella gestione dei beni culturali. Tra le più importanti, come giustamente sottolineato da Covatta, è la necessità di migliorare la fruizione del nostro patrimonio culturale. Lo sconforto del turista inquadrato dalle telecamere durante quelle ore di attesa è lo sconforto di chi da molti anni propone di riorganizzare la gestione dei beni culturali secondo una logica di sistema che non debba ridurre il visitatore o addirittura lo stesso tour operator ad essere informato soltanto con un cartello (mal scritto) dell’impossibilità, seppur temporanea, di accedere al monumento. Mai come in questa epoca storica in cui è molto forte la spinta verso l’innovazione tecnologica il sistema beni culturali può cogliere occasioni importanti: pensiamo soltanto alla possibilità di introdurre finalmente una piattaforma online dove da tutto il mondo il visitatore può essere accompagnato in tutte le fasi dell’organizzazione del suo viaggio. Un’assistenza virtuale e costante che coinvolga anche le tante realtà private che lavorano nel settore dei beni culturali, e che permetta al visitatore di avere un quadro informativo completo dei servizi disponibili, delle varie opzioni di prenotazione, dei vari itinerari proposti e personalizzabili dall’utente stesso in base alle proprie esigenze. E che permetta ad esempio al visitatore o al tour operator di sapere in anticipo di eventuali problemi proponendo in tempo reale itinerari alternativi.
Ne gioverebbe senz’altro l’immagine del nostro paese, con ricadute positive sull’industria del turismo che potrebbe finalmente sfruttare un canale diffuso a livello internazionale dove proporre e valorizzare in una ottica di “filiera” integrata e organica una offerta più ricca e ben articolata.
Recuperare progettualità in questo campo non può non passare per una apertura completa alle nuove tecnologie, le uniche forse che possono permettere alle varie realtà private e pubbliche che operano nel settore culturale italiano di dialogare e lavorare insieme, valorizzando pienamente le potenzialità del territorio italiano e della sua offerta ad oggi frammentata e troppo spesso disorganizzata. Guardare al futuro (o meglio al presente che rischia addirittura di diventare passato …) è forse è l’unico modo per superare alcune convinzioni arcaiche che vedono nel patrimonio culturale un bene da tutelare fino all’estremo concetto della “privazione del bene dalla fruizione pubblica”.
Premier e Ministro hanno dichiarato che il loro “decreto immediato”, preparato dalla mattina alla sera, si spiega con la centralità che i Beni culturali e la loro valorizzazione hanno per un Paese come l’Italia. Benissimo, allora che si avvii in Italia un vero e serio dibattito su cosa voglia dire valorizzazione del patrimonio culturale; come non ci si possa limitare a qualche trovata a effetto, ma dovremmo prevedere un ripensamento profondo di tutte le strutture delle Sovrintendenze. Non basta sostituire i direttori con manager stranieri, ma bisogna fornire loro strumenti e strutture adeguate. Scrivo questa breve nota da Santiago de Compostela, dove sto partecipando a un seminario del Consello da Cultura Galega su Comunicazione e cultura nel XXI secolo. Uno dei relatori della giornata è il responsabile del Dipartimento di comunicaizone digitale del Prado, sentirlo parlare e comparare con quanto avviene in Italia è desolante. Eppure competenze e passioni di certo da noi non mancherebbero.
Vediamo se questa volta ce la facciamo