Gli osservatori, anche “esteri”, notano che già ora uno dei punti di forza di Pier Luigi Bersani è la sua intesa con l’inquilino dell’Eliseo. E non ancora si spengono i riflettori sull’inizio formale del secondo mandato del presidente Obama. Era parso appannato il suo ruolo di faro mondiale dei “progressisti”, ed ecco invece che si ripropone.
A suo tempo (mi scuso per il riferimento personale), curando su Mondoperaio la scheda di lettura di un libro di Biagio de Giovanni, misi per così dire in tensione l’attitudine a rapportarsi al “territorio”, indicata dall’autore come via maestra per il centrosinistra, e l’insistenza di Enrico Morando sul Capo della Casa Bianca come leader mondiale dei democratici. Ecco; oggi i riformisti italiani possono far leva sul prestigio di due presidenti: Hollande e Obama, appunto. Anche se subito Bersani “il francese”, convinto sostenitore del doppio turno elettorale, si ritrae dinanzi all’eventualità di adottare da noi un assetto semipresidenziale.
A ciò forse contribuisce l’apparente dicotomia fra la difesa dei principi della nostra Costituzione e la sua revisione in senso presidenziale. Del resto Bettino Craxi e lo stesso Francesco Cossiga, con le ipotesi di grandi riforme o con le “picconate”, provarono soprattutto a superare la “costituzione materiale”, consociativa, che sovente si celava dietro la difesa a oltranza della Carta fondamentale.
Oggi dovremmo provare ad andare oltre.
Sono fra coloro che hanno apprezzato, nell’insieme, il recente spettacolo di Roberto Benigni dedicato proprio alla Costituzione. L’artista, con acume, ha forse citato più di tutti Piero Calamandrei. Un’icona della nostra Carta, certo; ma anche l’uomo del Partito d’Azione che si era battuto per un esecutivo in grado di governare davvero, eventualmente, addirittura, con un sistema di pesi e contrappesi all’americana (un’idea ripresa fra gli altri dal compianto segretario del Psdi Antonio Cariglia), che comprendesse l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. E in anni a noi più vicini, un altro ex azionista, Antonio Maccanico, pur non considerando l’abito presidenziale adatto per il paese, è tornato a porre il tema della democrazia governante.
Oggi, invece, seguendo le cronache politiche, si ha l’impressione di trovarsi dinanzi a un atteggiamento “dissociato”: si dibatte sul tramonto della seconda Repubblica, provando a scorgerne una terza, ma ci si “appassiona” a una campagna elettorale che esprime all’ennesima potenza proprio la deriva dell’ultimo ventennio. Per non smarrire il lume della progettualità, sarebbe probabilmente più fecondo, in vista della scelta del prossimo Capo dello Stato, provare a confrontarci su quella scadenza e sugli scenari che potranno aprirsi.