Il successo del Movimento 5 stelle apre la porta a una situazione di verità finora occultata. La verità occultata è che la sinistra nella sua cultura e nelle sue strutture organizzative, i partiti, non solo rivela un esaurimento di energia propulsiva verso il futuro, ma è diventata incapace anche di essere un’ “essenza in se stessa”.
Il ricorso a un linguaggio ritenuto persuasivo solo per essere usato senza riferimento alla realtà mette in evidenza la situazione.
Anche soltanto a voler circoscrivere, ad esempio, la critica al “grillismo” come fascismo crea grossi problemi. Ciò vale anche se la nuova eletta “grillina” ha facilitato moltissimo le interpretazioni possibili del nuovo “chissà che cosa”. Esagerando un po’ e sopravvalutando la signora Roberta Lombardi (alla quale consiglio la lettura, almeno, di Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo) possiamo tener presente il virgiliano ab uno disce omnes.
In premessa: il fascismo evocato non è un’idea chiara e distinta, ma indubbiamente rappresenta un fenomeno storico-politico concettualmente unitario se lo si pensi per quel che è stato e per quel che è e continua a essere. Il fascismo non è stato un partito comune. Ma rimane un luogo comune per tutti i superficiali del mondo.
Il fascismo, post mortem, è oggetto di esame politico perché  sempre e comunque esprime un’alterità, un’avversione a un assetto dato, dove dovrebbero dominare rappresentanza e libertà, e soprattutto una responsabile razionalità politica. In questo senso il “fascismo generale” ha un aspetto unitario in una modellistica autoritaria e militaresca, in una concezione della società gerarchica dove i ruoli dovrebbero essere assegnati sia dalla ricchezza sia dalla possibilità di comando nella forza armata pubblica e nella burocrazia. E dalla sfrontatezza: il me ne frego di D’Annunzio a Fiume ha poi segnato tutta la volgarità di un’epoca che nel gesto sembrava voler superare la dappocaggine politica.
Il fascismo, come disse Turoldo, è più un “sesso” che una scelta politica. All’interno di esso vi sono i “destri” non liberali, gli innamorati del fascismo mussoliniano in fase di regime, e i nostalgici increduli della repubblica di Salò. Sono tutti infastiditi della rappresentanza politica e aspiranti della “democrazia diretta”, quella che rappresenta il barbarico “campo di Marte” con i suoi riti e le sue assemblee. Nella sostanza sono contro ogni forma di Stato rappresentativo e quindi contro la Costituzione e la civiltà politica consolidatasi nel secondo dopoguerra. Nella rivoluzione francese l’avvento della democrazia diretta mise al lavoro la ghigliottina e rovinò il lavoro politico di Lafayette e di Mirabeau, come racconta il Lefebvre.
L’espressione politica rappresentativa è ritenuta frutto di un esercizio abusivo dell’autorità nella società organizzata, in un clima politico e istituzionale complessivo debole dove, con Dante, “un Marcel diventa / ogni villan che parteggiando viene”. La democrazia diretta somma tutte le debolezze. Ciò va detto anche se certe istituzionalizzazioni di democrazia diretta certe volte sono utili e anche indispensabili.
La tracotanza verbale e dei gesti è la veste esteriore di chi non crede nella razionalità politica e immagina feconde le scorciatoie che spesso si legano alla violenza. La democrazia greca antica ha forse già spiegato tutto. Certamente l’età di Pericle conta molto più di quella dei “vaffa”. La tracotanza tende sempre a discendere anche ai rami bassi della società democratica, con rivelazione di gusti e una voglia di intolleranza evidenti. E in certe fasi ha successo. Certi aspetti dell’ambientalismo sono permanenze dell’elementarismo.
L’antipolitica denunciata nei “grillini” in realtà è stata vissuta e praticata – purtroppo – dai democratici per decenni. Ma ciò è stato possibile perché si è potuta presentare sempre come politica, magari più concreta di quella ufficiale. Se si avesse la pazienza di vedere i dibattiti e le conclusioni delle vicende interne  dei partiti, e la scelta dei regolamenti degli organi rappresentativi, si vedrebbe che c’è stato sempre lo sforzo di restringere l’ambito della rappresentanza. Non occorre nemmeno la dimostrazione, perché basterebbe una lettura o rilettura delle cronache per vedere come si è limitata progressivamente l’importanza del voto. In due modi: il primo con le regole che giungono fino al porcellum; il secondo con la creazione incessante di organi e poteri extraparlamentari e ed extraistituzionali, con affidamenti crescenti a una burocrazia che si alimenta anche finanziariamente in modo autonomo.
Quando è iniziata la lotta contro la proporzionale e contro quel che conteneva si sono invocati due principi. Il primo, quello della governabilità che avrebbe avuto la prevalenza sulla rappresentanza; il secondo, l’incapacità o la non volontà di dettare regole rigorose ed efficaci che avrebbero dovuto contenere gli abusi e le violazioni. In questa situazione la convergenza tra “grillismo” e “berlusconismo” è evidente: l’ostilità per le regole, minando l’autorità pubblica, porta a una conclusione tendenzialmente anarchica spacciata  come democrazia diretta. Questo è il primo quadro.
Il secondo quadro riguarda la vita della società politica e quindi i partiti. Quando si è trattato di dargli regole si è passati oltre, condannandoli a non morire di colpo. Anzi, con uno smodato finanziamento, si fece sì che sopravvivessero al peggio. Esisteva l’articolo 49 della Costituzione, in nome del quale si sarebbe potuto fare molto e non si fece niente. Ricordo un dibattito in Emilia con un illustrissimo e autorevolissimo personaggio che si scagliò non  contro il mal vivere dei partiti, ma contro il loro istituto. Le cose andarono avanti e si ebbe l’esperienza di un governo poi fallito perchè privo della politica di partiti forti e onesti di sostegno.
Ora Grillo tuona contro i partiti, ma la sua è una figura storica ben nota. Non si colpiscono i vivi, ma come diceva Ferrucci, un uomo morto. Con un’aggravante: la situazione di profonda ignoranza politica domina non solo i giovani, ma anche molti anziani che la cattiva esperienza ha ridotto a essere sbrigativi e impazienti e quindi aperti  a repliche pericolose. Si parla dell’euro come fosse una barzelletta: Lenin avrebbe detto che dicono barzellette a un funerale.
Il terzo quadro riguarda il Partito democratico. Questo concerne la unione, fusione o confusione tra due tronconi politici storici risalenti dalla Dc e dal Pci. Ci si diceva, anche da parte di persone che ci avevano accusato di essere troppo antidemocristiani, che dalla crisi della Dc morente sarebbe nata una nuova luce. Meglio non approfondire, sperando che qualche filologo voglia perdere tempo in certe ricostruzioni. Si immaginava che ci sarebbe stato un amalgama da costruire intorno a un programma da elaborare. Il Pci, vittima di una crisi diversa, e che però manteneva un nucleo organizzativo forte, pure vedendo tagliarsi sotto i piedi le proprie radici, si è gettato nell’impresa forse pensando inconsapevolmente a una riedizione di qualche inopinato fronte popolare.
Questo amalgama è stato “chiacchierato” ma solo come astrattezza. In certi convegni pareva che si dovesse dare vita all’Accademia d’Italia, senza condurre una approfondita analisi della crisi politica istituzionale che non era fatta solo di Tangentopoli: quest’ultima è stata un effetto e non una causa.
Non si è tenuto conto che i due movimenti storici e i relativi partiti erano in crisi e che l’unione di due crisi avrebbe dato luogo solo a una crisi doppia, col permanere di precostituiti gruppi dirigenti che la stessa nuova situazione creata faceva sì che fossero esclusivi e non inclusivi di nuovi apporti culturali e sociali.
Il quarto quadro riguarda Berlusconi e il “berlusconismo”. Forse solo ora si tende a fare una distinzione, comprendendo che la sconfitta del leader della destra potrebbe neppure scalfire i principi teorici e le pratiche di un movimento che è nella società come senso comune. Il “grillismo “ non è abbastanza astuto per impossessarsi del “messaggio”, ma superata la fase di assestamento qualche cosa potremmo vedere, grazie al partito parlamentare del trasformismo che ha una storia antica e fiorente.
Per completare l’insieme delle tendenze, si dovrebbe trattare  un altro aspetto della situazione che riguarda le culture di cui si parla a scatola chiusa, e che si riassumono nell’idea di “democrazia cristiana” e nell’idea di “socialismo”. Ma forse bisognerebbe andare oltre, perché qui siamo già a scegliere entro una crisi che il “grillismo” impone per il solo fatto di esistere. La prima cosa da fare però è costringere questo movimento,  che potrebbe solo agitarsi, a riflettere e a conoscere i processi di vita politica e sociale che al momento sembra non solo ignorare  ma anche disprezzare.