Stamattina sul Corriere Ernesto Galli della Loggia ripropone un ragionamento che aveva già abbozzato lunedì nel nostro seminario sul lascito di Luciano Cafagna: deplora l’abitudine delle nostre classi dirigenti a farsi scudo del “vincolo esterno” per imporre politiche altrimenti impopolari.
Ma tratta l’argomento come se il “vincolo esterno” fosse solo un pretesto, invece che un dato di realtà. Tale è, con tutta evidenza, il vincolo europeo che oggi ci stringe. E tale fu, come ricorda lo stesso Galli della Loggia, il vincolo atlantico agli albori della nostra storia repubblicana.
Da deplorare, quindi, è semmai che le nostre classi dirigenti non sempre fanno i conti coi dati di realtà. E che talvolta, anzi, invochino proprio “vincoli esterni” per giustificare inerzie e ritardi.
Fu così negli anni ’70, quando scommisero sul perdurare della gran bonaccia nei rapporti fra Est ed Ovest per stipulare un compromesso domestico che mettesse al riparo gli equilibri politici di trent’anni prima dagli effetti della modernizzazione della società italiana. E fu così negli anni ’90, quando pretesero di conformare il nostro sistema politico ad un non meglio precisato “modello europeo”.
La conseguenza è che, avendo rispettato vincoli immaginari, le forze politiche italiane si sono rivelate incapaci di osservare i vincoli reali, delegando ad altri l’incombenza: al “quarto partito” sessant’anni fa, a Monti adesso. E che così facendo hanno creato quel corto circuito fra governo e popolo che è compito della politica evitare.
E’ difficile, nella vigilia elettorale, cercare di porre rimedio a questo disastro. Ma di questo si dovrà ricominciare a parlare da martedì, quando chiunque avrà vinto le elezioni dovrà misurarsi coi mercati e con la Bce, entità per nulla immaginarie, e coi vincoli che esse impongono a noi come al resto del mondo.