La regressione dalla lotta di classe all’invidia di classe – che da un po’ di tempo è il surrogato delle malattie infantili denunciate da Lenin nella sinistra europea – ha da ieri un argomento in meno: grazie a Davide Giacalone abbiamo appreso che la legge sul divieto di cumulo tra retribuzioni e pensioni dei giudici costituzionali, pure esistente dal 1953, ha da qualche mese un primo caso di applicazione volontaria, quello del professor Giuliano Amato.
Enrico Buemi, poi, ci ha spiegato che quel divieto era stato per anni interpretato allegramente, in virtù dell’autocrinìa: del criterio, cioè, con cui gli organi costituzionali scelgono cosa applicare della legge “esterna”. E proprio Amato del superamento di quel feticcio è stato l’autore, come relatore della sentenza n. 120 del 2014.
La Corte costituzionale non si è sottratta alla necessità di delimitare l’autonomia normativa degli organi costituzionali, respingendo ogni deroga alla “grande regola dello Stato di diritto”. Stante la portata della pronuncia, che riconcilia la difesa dei diritti della persona e le ragioni della comunità accademica, ogni tattica dilatoria appare oramai recessiva. Eppure ci vuole ben più che coerenza giuridica nello scegliere di applicare subito alla propria pensione il principio proclamato nella propria sentenza.
Ma non stiamo parlando di un personaggio qualsiasi. Giuliano Amato coniuga una raffinatissima competenza giuridica, con una profonda cultura storica. La stessa che lo indusse, mentre ancora emergeva lo scandalo dei consigli regionali, a criticare sul suo blog ogni opacità gestionale che cresca al riparo delle assemblee rappresentative. La stessa che lo ha indotto a guardare all’Europa, nella sentenza n. 120, indirizzando la dottrina verso l’evoluzione moderna della sovranità del Parlamento nell’epoca del “parlamentarismo razionalizzato”.
Certo, le nostre istituzioni non sono aduse a rimodellare consuetudini secolari con il classico pragmatismo inglese: da noi ogni passo in direzione dell’affermazione della moralità in politica richiede un bilanciamento accorto tra i poteri. L’individuazione del “nesso funzionale” non può avvenire sempre in via contenziosa, ma deve maturare – in via fisiologica – nella coscienza degli attori politici, sotto la supervisione del supremo garante della Carta costituzionale.
È un ruolo di impulso, persuasione e monito che richiede la piena padronanza della macchina dello Stato, come ha ricordato Sabino Cassese. Ma richiede anche un disinteresse tale da tirare le somme delle proprie convinzioni direttamente sulla propria busta paga.