Già nel giugno del 2010 e del 2011 su Mondoperaio ho avanzato proposte per l’accoglienza e l’integrazione di rifugiati e immigrati con riferimento ad aree interne meridionali dotate di larga disponibilità di alloggi vuoti ed a grave rischio di spopolamento. Esempio tipico la Basilicata, dove gli alloggi furono ristrutturati con i fondi dei vari terremoti, a partire da quello del 23 /11/80, e dove lo spopolamento si aggrava. Ripropongo ora un robusto intervento per i ricongiungimenti familiari, estendendolo ai rifugiati. In questa Regione oltre le case ci sono altre condizioni favorevoli: la possibilità di “distribuzione nella moltitudine di paesi piccolissimi”, cioè di “un policentrismo” che insieme a “lavoro,famiglia,comunità sono gli ingredienti del successo” nell’area pedemontana del Nord-Est, secondo gli studi di Diamanti-Porcellato e di Bordigan-Ciccardini. In Basilicata manca il lavoro, ma ci sono da recuperare le tradizioni artigianali e agricole ormai abbandonate dai nostri giovani. La prima fase di un progetto possibile dovrebbe coincidere con l’accoglienza e l’orientamento linguistico culturale oltre che professionale; la seconda nella formazione professionale. Data la sua natura, il costo sarebbe da concordare – in misura adeguata allo spessore dell’impegno- con il Fondo Sociale Europeo. Sicchè l’intervento offrirebbe lavoro ai nostri giovani.
Le due Aziende provinciali per la formazione e l’orientamento dispongono di sufficiente personale per avviare le attività di apprendimento linguistico, animazione culturale ed altro che occorre in queste situazioni, già da anni sperimentate a Riace. La stessa Università potrebbe giocare un ruolo di rilievo, sia in prima battuta che nella fase della professionalizzazione, e potrebbe preparare anche i “quadri” per lo sviluppo delle aree di provenienza cui i giovani accolti-ospitati potrebbero ambire a tornare. Certo, una gran parte dei rifugiati, una volta concluse le fasi formative , potrebbe raggiungere il Nord o altri paesi europei. Anche a questo obiettivo potrebbero essere preparati, previa intesa con le realtà di destinazione. Intanto, quella parte che si radicasse in Basilicata ne bloccherebbe lo spopolamento e ne rilancerebbe la produttività sia nei due settori tradizionali che nei servizi.
Insomma, un progetto di accoglienza e formazione finanziato in misura straordinaria dall’Europa attraverso il Fse ed ubicato in una piccola Regione del Sud che di per sé popola e dà lavoro con formazione pluriennale a rotazione: di utilità a chi ospita, per formare prima e produrre poi, e alle stesse aree di origine, cui potrebbero ritornare i loro giovani adeguatamente qualificati e culturalmente contagiati dal vecchio Continente. Un siffatto progetto nemmeno sarebbe da subordinare alla correzione della legislazione vigente (da svolgersi indipendentemente). Anche per essa, rifugiati politici e ricongiungimenti familiari costituiscono, rispettivamente, obbligo e possibilità.
Certo, un’operazione del genere, per quanto localizzata sperimentalmente in una Regione con dati favorevoli, è molto complessa. Non soltanto perché occorre predisporre le popolazioni all’accoglienza (segmento prioritario del progetto e del finanziamento), ma perché necessita di un adeguato livello di direzione politica ed istituzionale. Il “ manico” dovrebbe essere alla Regione. Essa dovrebbe allertare tutte le Amministrazioni locali ed intermedie nello spirito emergenziale e solidaristico già sperimentato in occasione del terremoto. Ai comuni toccherebbe individuare gli alloggi disponibili ed acquisirli in comodato gratuito, come ha fatto il Sindaco di Riace. I già regolarizzati, spesso contadini, potrebbero impegnarsi alla manutenzione. La rete di accoglienza, predisposta su progetto regionale, consentirebbe l’acquisizione dell’ esperienza necessaria all’ estensione dell’accoglienza ai rifugiati politici. Per questi già il ministero degli Interni paga una retta o ai Comuni che collaborano (Riace per i Curdi) o alle Associazioni no-profit, che però si servono di alloggi emarginanti e che dovrebbero invece inserirsi nel ripopolamento degli abitati. L’intervento massiccio dell’Unione, con il suo Fondo ad hoc, potrebbe assorbire tale spesa e prevedere quella per il viaggio.
Siamo qui al punto dolente, ineludibile se si vogliono evitare le tragedie. La vergogna delle Nazioni ricche – che spendono più per respingere che per accogliere le energie personali delle quali hanno peraltro assoluto bisogno – si estirpa alla radice con il viaggio assicurato dalle nostre navi: selezionando alla partenza e cominciando dai rifugiati politici. Questa è la parte che tocca allo Stato e alle delegazioni diplomatiche, oltre la selezione delle quote annuali degli immigrati, (magari ricalcolate anche in relazione all’incremento dei rifugiati). Se tutto questo fosse organizzato, una Regione piccola e di piccoli comuni come la Basilicata, dando esempio di saper leggere le dinamiche storiche, si salverebbe impegnando i suoi giovani e le sue strutture alla soluzione di un fenomeno inarrestabile (“I flussi sono destinati a crescere”, Golini; “Diaspore e migrazioni sono parte integrante del nostro futuro”, Muscarà; “Non ci sono alternative ad un approccio di lungo periodo”, Pastore; “E’ una componente strutturale della globalizzazione”, Bolaffi). E’ una delle strade possibili. Sperimentiamola, se no la vergogna resterà un sentimento tanto ricorrente quanto astratto.
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