Nel numero 1/2014 di Micromega è riportato in allegato un fascicolo contenente due dialoghi ed un saggio; il primo dialogo, che si svolge tra il direttore delle periodico, Paolo Flores D’Arcais, e Stefano Rodotà, riguarda un confronto di idee sulla “via maestra” che si offre alla società civile italiana per dare voce “alle lotte in difesa e attuazione della Costituzione, per il lavoro e i beni comuni”. A tal fine, secondo D’Arcais, è decisiva una valutazione convergente su tre punti, riguardanti il carattere e il significato delle lotte della società civile negli ultimi tempi, la mutazione del Pd, e l’esplosione, i meriti e le contraddizioni del M5s di Grillo.
Secondo il direttore di Micromega le manifestazioni e le lotte civili e sociali che hanno coinvolto la società civile negli ultimi quindici anni hanno raccolto consensi anche presso l’opinione pubblica “moderata”. La forza delle manifestazioni, più che nella “carica di antipolitica”, così come l’establishment è stato solito considerarla, in realtà è sempre stata nella “carica di altrapolitica” che essa ha espresso, “totalmente estranea e refrattaria alle degenerazioni ed ai riti di una politica ufficiale e di palazzo ormai marcia”. La domanda che per Flores s’impone è quindi chiedersi se i molti cittadini coinvolti nelle manifestazioni sono rappresentati dal M5s o dal Pd, considerato che la dispersione del consenso ha reso la sinistra radicale politicamente nulla.
Grillo ha intercettato elettoralmente la protesta della società civile; a causa delle sue contraddizioni, egli non è però in grado di rappresentarla: per la sua ambiguità sul piano programmatico, per la sua tendenza all’autoisolamento, e soprattutto per il “tragico elemento proprietario della struttura del movimento”, che dà corpo solo al principio in base al quale due, Grillo e Casaleggio, “valgono per tutti”.
Quanto al Pd, sempre secondo Flores esso non può rappresentare il mondo della protesta della società civile, perché ne rappresenta un altro, omogeneo all’establishment dominante: e non sarà certamente Renzi a ricuperarlo, per portarlo a rappresentare le istanze sociali nel senso più ampio. Renzi ha riscosso consenso solo per aver rimosso dalla guida politica del Pd la vecchia nomenklatura, ma si è limitato a circondarsi di collaboratori non all’altezza delle situazione, perché privi delle qualifiche meritocratiche necessarie al fine di modernizzare, razionalizzare e moralizzare i gruppi egemoni, sempre più invischiati in logiche di familismo amorale, in “un orizzonte dominato da appetiti finanziari speculativi e biscazzieri, anziché da vocazione industriale”.
In conclusione, per Flores, né il M5s né il Pd, per motivi diversi, possono rappresentare il mondo di lotte civili e sociali di quella parte della società mobilitabile per il cambiamento della qualità dell’attività politica del paese. L’alternativa non può che essere dare voce parlamentare alla protesta, considerato che lotte e rappresentanza parlamentare sono aspetti che si rafforzano reciprocamente. Perciò occorre dare ai milioni di cittadini che credono nei valori della giustizia e della libertà una rappresentanza politica, dotandoli di una forza politica organizzata.
Rodotà, dal canto suo, condivide l’analisi del direttore di Micromega, ma aggiunge alcune considerazioni volte a rinforzarla e riguardanti il fatto che, a fronte delle manifestazioni occorse nel corso degli anni Dieci (che hanno trovato il loro punto di coagulo nell’opposizione alla “legge bavaglio” e nella raccolta delle firme per il referendum sull’acqua) c’è stata una totale chiusura da parte del Pd: fatto questo che ha portato all’emergere di Renzi, il quale ha potuto “rottamare” un’oligarchia che però gia da tempo aveva perso ogni rapporto col mondo reale, poiché completamente estraniata da esso. Rodotà aggiunge che l’estraniazione del Pd dalla realtà del conflitto sociale segna anche uno spartiacque: nel senso che la perdita di contatto con i reali problemi civili e sociali ha fatto sì che prevalesse la considerazione della dimensione istituzionale, che comporta l’allontanamento del partito dalla responsabilità e dall’obbligo dell’analisi politica. Per Rodotà ciò segna la differenza tra il modo di fare politica del momento attuale e quello degli anni Settanta del secolo scorso: quelli cioè che l’hanno visto vivere l’esperienza di deputato nelle file del vecchio Pci. Quelli sarebbero stati gli anni che hanno realmente cambiato il paese, perché l’azione politica era riconducibile a forze che si misuravano con i dati reali, e che soprattutto tendevano a non chiudersi, aprendosi alla società.
Per quanto riguarda il M5s Rodotà, a differenza di Flores, si dichiara più possibilista, ma dopo aver riconosciuto anch’egli che il M5s non incarna il mondo di lotte della società civile e che tutt’al più, dopo essere riuscito solo a recepire alcuni suoi “umori” e a prefigurare la speranza di divenirne portavoce, ha solo “dislocato tutto nella rete, pensando che lì fosse il luogo unico della rappresentanza”. E, quel che è peggio, che il suo leader ha introiettato sul piano organizzativo il modello proprietario, ovvero il modello di “padre e padrone” del folto gruppo degli eletti in Parlamento nelle file del movimento.
La conclusione dell’analisi di Rodotà è che, stante la situazione attuale, non è detto che si possa realizzare una forza strutturata per rappresentare a livello politico le forze della protesta della società civile; egli infatti non è “sicuro che ci siano tutte le condizioni per fare questo passo, in particolare nella direzione di un partito o di liste elettorali”. Tuttavia, in sintonia con la posizione di Flores, Rodotà propone che si lavori perché ci si doti di un’organizzazione leggera: per tenere un’anagrafe delle realtà sociali mobilitabili, per fare circolare l’informazione, e per cominciare a costruire in modo decentrato proposte su tutte le questioni che sinora hanno motivato il coinvolgimento della società civile nelle lotte di protesta.
A conclusione del dibattito sorge spontanea la propensione a condividere l’analisi di Rodotà; anch’essa tuttavia non va esente da alcune riserve, riguardanti soprattutto le forme ed i tempi necessari per ricondurre in un programma unitario le diverse questioni che sinora hanno giustificato la protesta. Nel corso della sua analisi, Rodotà ricorda il diverso modo di fare politica da parte dei partiti della sinistra (in particolare, di quello nelle cui fila sedeva in Parlamento), riconducibile al fatto che negli anni Settanta quei partiti svolgevano un’attività politica relazionata ai dati reali della società. Quei partiti – non solo negli anni Settanta, ma a partire dagli anni Sessanta – hanno rinnovato la società italiana perché disponevano di un progetto sociale e di un quadro istituzionale perfettamente coerenti l’uno rispetto all’altro; ed è questa la ragione per cui hanno potuto realizzare la modernizzazione del paese ed una crescente equità distributiva.
Ma a partire dalla fine degli anni Settanta le dirigenze di quei partiti hanno incominciato a perdere contatto con i cambiamenti della realtà, non solo nazionale, trascurando i corrispondenti cambiamenti che avvenivano nelle loro basi sociali di riferimento e privilegiando i problemi istituzionali, la cui considerazione spesso non aveva nulla a che fare con i problemi sociali per la cui soluzione quella dei problemi istituzionali veniva invocata.
E’ a partire da quello smarrimento del reale che è nato tutto il seguito: fine della prima Repubblica, smantellamento dell’economia mista, crisi del Welfare State, riforme confuse della Costituzione, “grillismo”, “renzismo” e così via. E’ di ciò che si deve tener conto, per pervenire alla elaborazione di un progetto sociale che – oltre a recepire le istanze sinora alla base delle lotte della società civile – sappia anche indicare il verso delle riforme istituzionali eventualmente necessarie. Per raggiungere questo obiettivo, forse non saranno sufficienti le linee indicate da Rodotà, ma qualche sforzo innovativo e creativo e qualche tempo in più per dare una rappresentanza politica reale ad una protestatarismo casuale ed emotivo. E sin tanto che non si perverrà all’elaborazione di un nuovo progetto sociale e alla prefigurazione di quanto potrebbe essere necessario a livello istituzionale, qualsiasi iniziativa volta a garantire una rappresentanza politica alla protesta della società civile è destinata a tradursi in un sicuro nulla di fatto.