A proposito del “decretosalvasilvio”, la rivendicazione di Franco Gallo sul Corriere della sera di ieri (“se me l’avessero chiesto, avrei saputo scriverla meglio”) merita, ancor prima del plauso per la sottile ironia, un commento su una cronaca che ci parla sempre meno dei fatti e sempre più di chi li riporta. Il cosiddetto giornalismo d’inchiesta, infatti, conferma la sua specializzazione migliore: la caccia alla volpe, con l’occhio iniettato e lo sperone battuto, dietro il corno suonato dal sito di D’Agostino.
Il presidente emerito della Corte costituzionale, al contrario, invita alla pacata analisi dell’entomologo: chino sul sottobosco squassato dagli zoccoli, la sua cura per un discorso sul metodo trasuda amore per la scienza giuridica e orgoglio di saperla praticare.
In effetti il clangore dell’armi contrapposte si scontra quasi su di un punto d’onore: se il ceppo d’olmo, nascosto tra quelli di quercia, fosse nella partita scaricata davanti a Palazzo, o sia stato aggiunto una volta dentro la magione dei Chigi. Se i palazzi romani siano frequentati da maggiordomi infedeli, o se invece occulte forze si valgano di sensali compiacenti.
Franco Gallo ci invita a guardare alla luna, invece che al dito. Si scopre così che la dottrina giuridica ha da tempo affrontato la questione della successione delle norme penali incriminatrici nel tempo. Qualche dato, in proposito, l’ha offerto anche Mondoperaio, n. 9/2014 (Dura lex sed negligens): la legge sul falso in bilancio provocò l’assoluzione di Cesare Romiti nel 2003, dopo un’interessante diatriba giurisprudenziale sulla differenza tra abolitio e mutatio criminis; l’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi ha provocato un’innovativa giurisprudenza della Cassazione, che ammette l’incidente di esecuzione (con ricalcolo al ribasso della pena) anche quando si succedono nel tempo leggi penali di diverso rigore; persino i salti della cavallina di un attempato ex presidente del consiglio potrebbero essersi valsi di questo interessante filone giurisprudenziale, che corre lungo il filo di un rasoio giuridico difficilissimo da maneggiare.
Ecco allora che l’invito ai pratici – che crediamo di leggere nelle parole del presidente Gallo – va in direzione opposta rispetto alle trame alla Dumas. Innovare la disciplina fiscale per adempiere ad una delega semplificatoria attribuita dal Parlamento è, per il governo, un preciso obbligo. Farlo in una modalità idonea a provocare un incidente di esecuzione in un caso concreto di condanna già inflitta – ovvero idonea a prevenirlo, che è lo stesso – non può non essere frutto di una ben precisa scelta. La scelta è politica, ovviamente, ed è tecnica la sua migliore trasposizione legistica.
Significa studiare i precedenti: significa vedere quanto incise, nel precedente Romiti, l’esistenza della soglia (introdotta nel falso in bilancio nel 2002 ed assente nella normativa anteriore); significa cercare di comprendere se quella disciplina rappresenti un utile tertium comparationis (tra soglia riferita al fatturato e soglia riferita all’imponibile evaso) atto a “prevedere” il possibile esito di un’istanza per l’incidente di esecuzione.
C’è persino caso che, dopo aver fatto tutto questo, si sia in grado di spiegare meglio alla stampa una vicenda che, come al solito, finisce invece con l’offrire occasioni per incongrue tirate leaderistiche: le assunzioni di responsabilità non richieste, con condimento dei “ci metto la faccia”, serviranno forse per chiamare la “ola” dalla propria parte della tribuna, ma non tolgono acqua al sempre più mefitico stagno della velina ad orologeria. Quando si potrà archiviare questa produzione di dossier a veloce consumo ed alta deperibilità, non sarà mai troppo tardi. Allora, forse, si potrà tornare al retino dell’entomologo: con la certezza che finalmente avremo catturato qualcosa.
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