L’unificazione politica dell’Europa è nelle aspettative di quanti ancora credono nel disegno europeo; si ha l’impressione, però, che, frequentemente, essa sia invocata per esorcizzarla, piuttosto che per conseguirla. Tutti coloro che, affrontando il nodo della mancata unificazione politica dell’Europa e della crisi delle istituzioni comunitarie, non mancano di concludere la loro analisi osservando che – senza l’”ultimo sforzo” per realizzare ciò che era nelle intenzioni dei “padri fondatori” degli Stati Uniti d’Europa – la crisi economica, sociale e politica che affligge gran parte dei paesi membri, e in particolare il nucleo di quelli che hanno adottato l’euro, non potrà mai essere stabilmente risolta.
Al rito esorcistico non si sottrae Massimo D’Alema nel suo ultimo libro (“Non solo euro. Democrazia, lavoro, uguaglianza. Una nuova frontiera per l’Europa”). Egli mette a fuoco con sufficiente realismo i mali ed i limti dell’Unione europea, sottolineando come la credibilità e la legittimazione delle istituzioni dell’Unione siano “messe in discussuine da un vasto e multiforme sentimento popolare, che, negli ultimi anni, in un crescendo tumultuoso, ha finito per considerare la Ue non come una risposta alla crisi e ai problemi dei cittadini, ma, al contrario, come fattore di aggravamento del disagio e dell’insicurezza”.
Per D’Alema, quindi, l’Europa è colpita da una crisi profonda soprattutto di natura politica: perché, se è vero che sta subendo gli esiti di una crisi economica dalla quale non riesce ad uscire, è anche vero che, nel contempo, ha assunto i connotati di una “costruzione burocratica complicata”, lontana dai problemi e dalle persone, in quanto nell’opinione pubblica di tutti gli Stati membri si è radicata l’idea di non riuscire ad esercitare alcuna influenza determinante sulle scelte che vengono assunte a livello comunitario.
Ciò che si deve fare, perciò, secondo D’Alema, è cambiare il modo in cui sinora è stata svolta l’attività politica e puntando ad un’Europa più democratica e più vicina ai cittadini, sciogliendo l’Unione dalle pastoie che le “impediscono di liberare risorse ed energie, orientando le scelte concrete in direzione della crescita e del lavoro”. Non basta affermare che c’è bisogno di ‘più Europa’, perché, nelle condizioni in cui versano gli Stati membri, ‘più Europa’ è uno slogan che ormai rischia di ”alimentare paura, sospetti e timori, provocando un micidiale effetto controproducente”. Se si vuole rilanciare il progetto europeo occorre “un nuovo disegno democratico dell’integrazione con i contenuti di una svolta sul piano delle politiche economiche e sociali”, rimettendo al centro del rinnovamento il valore fondante della solidarietà.
Per portare a compimento questo processo sarà necessario non tanto liberarsi del presunto fardello dell’euro attraverso referendum velleitari, o accettare il fatalismo impotente di chi pensa che nulla possa essere cambiato in presenza della forza economica e politica della Germania e del conservatorismo della sua classe dirigente: quanto approfondire la credibilità di un’azione politica di tutti gli Stati membri, finalizzata a “contribuire a una riforma e a una svolta che devono avvenire a livello delle istituzioni europee”.
Quest’auspicata azione politica rinnovatrice dovrà essere affrontata a Bruxelles, la sede dove vengono assunte tutte le principali decisioni politiche; essa dovrà mettere in discussione l’attuale impianto istituzionale e il suo funzionamento, con l’obiettivo di superare il meccanismo decisionale sinora messo a punto, “particolarmente farraginoso e inefficace”, nato a seguito della crisi del potere degli Stati nazionali nel mondo globalizzato. Il rilancio del disegno europeo, tuttavia, non potrà che trovare nell’integrazione politica dell’Europa la risposta più adeguata al persistere delle situazioni di crisi; si tratterà perciò di costruire un’Europa federale, dotata di un’aumentata forza politica, in considerazione del fatto che le difficoltà attuali dell’Unione non derivano tanto da cause di natura economica, quanto dalla sua debolezza politica.
La mancanza di un’adeguata forza politica, infatti, ha fatto sì che prendesse il sopravvento la dimensione di tipo economico della governance europea, e con essa l’”illusione tecnocratica” che l’Unione possa essere governata attraverso un insieme di regole prefiguranti solo vincoli, che hanno finito per imprigionarla. Naturalmente, conclude D’Alema, la risposta politica alla crisi attuale dovrà essere data in funzione della soluzione dei problemi che riguardano la condizione esistenziale dei cittadini; ma la condizione perché ciò possa accadere sta nel rafforzamento dell’integrazione politica dell’Unione. Molto in tal senso potrà essere realizzato nell’ambito dei Trattati, ovvero nell’ambito di una loro profonda riforma che consenta di pervenire, “con gradualimso e realismo”, a un nuovo patto istituzionale tra gli Stati membri. A tal fine ciò che dovrà essere realizzato è il rafforzamento del “peso” della Commissione europea, perché il suo Presidente, assieme agli altri soggetti che la comporranno, possano esprimere un reale governo dell’Unione, in grado di operare nel nome degli interessi comuni e di porsi su un piano di parità rispetto ai governi degli Stati più forti. Solo così si potrà evitare che la Commissione, come spesso è accaduto, venga percepita come una semplice struttura burocratica al servizio di questi ultimi.
Non si può non concordare con l’analisi sin qui condotta sulle crisi dell’idea di Europa e su quella concernente le istituzioni create per il governo dell’Europa che si è realizzata. Ciò che induce a nutrire qualche dubbio sulla pronta realizzabilità dell’azione politica di rinnovamento auspicata da D’Alema sono i tempi, piuttosto lunghi, che saranno necessari per effettuare il cambiamento dei Trattati. Non può essere trascurato il fatto che la crisi dell’Ue, e soprattutto di quella parte di essa costituita dal gruppo di Stati che fanno parte dell’eurozona, è di estrema complessità, dovuta al fatto che gli attori principali dell’adozione della moneta unica hanno proceduto nel loro intento malgrado fossero consapevoli dell’esistenza di un possibile esito negativo del funzionamento dell’euro nella sua originaria struttura.
Infatti essi hanno preferito procedere nel loro intento sperando, come viene affermato da molti analisti, che il possibile esito negativo non si verificasse. Ma, oltre all’azzardo di adottare una moneta unica ad alto rischio, hanno svolto un certo ruolo anche altri motivi poco confessabili: nel senso che, sia pure a posteriori, è emerso il fondato sospetto che i soggetti politici coinvolti nel processo di creazione della moneta comune abbiano agito sotto la diretta pressione di chi auspicava il verificarsi di una possibile catastrofe generale per “catturare” tutti gli specifici vantaggi che ne sarebbero seguiti.
Ora gran parte delle classi politiche dei singoli Stati sono d’accordo, almeno a parole (anche se non corrisposte in toto dalle proprie opinioni pubbliche), circa la necessità di un ulteriore balzo in avanti sulla via dell’unificazione politica dell’Unione; e sono anche d’accordo nell’individuazione dei principali ostacoli da superare e delle procedure da seguire. Essi però devono fare i conti con i cambiamenti dei rapporti intercorrenti tra le diverse parti politiche interne ai loro Stati, provenienti, oltre che dalle opinioni pubbliche che hanno affievolito il loro europeismo, dalla estrema complessità dei Trattati, che è valsa a creare una situazione così intricata che può essere dipanata solo attraverso un loro azzeramento. Il progetto europeo è l’esito di una cultura politica ed ideologica condivisa: ma ora tale cultura è divenuta multipolare, il che fa della riforma dei Trattati un problema molto complesso, tale da risultare oggetto di numerosi dibattiti, ma inadeguati a formulare realistiche soluzioni immediate.
Questo stato di cose, al fine di evitare che coloro che sono tra i più sensibili alle sorti del disegno europeo si comportino come dei sonnambuli, ovvero dei politici impotenti: così come lo sono stati, mutuando un’espressione di Christopher Clark, i politici europei del 1914 che, malgrado fossero consapevoli della tragedia che stava per sopravvenire, non hanno saputo evitarla perchè le loro possibili iniziative erano impedite dalla congerie di Trattati esistenti tra le diverse potenze dell’epoca.
I politici europei attuali, pur coscienti dei problemi da risolvere, ma impotenti nel portate avanti progetti di riforma ab imis dei Trattati, non riescono in alcun modo a realizzare dei progressi nella realizzazione degli Stati Uniti d’Europa. Sarebbe perciò opportuno che tali politici, per evitare di perseguire finalità destinate a rivelarsi solo velleitarie, orientassero il loro impegno e la loro riflessione al come migliorare nell’immmediato, in senso democratico, la governance dell’Europa sin qui realizzata, proiettando in un futuro più o meno prossimo la soluzione della questione dell’integrazione politica.
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