Scriveva David Hume: “Qualsiasi grande differenza nel grado di una qualità viene chiamata, con una metafora piuttosto comune, distanza, metafora che per quanto banale possa sembrare è basata su dei principi naturali dell’immaginazione. Una forte differenza ci spinge a distanziarci l’uno dall’altro; le idee di distanza e di differenza sono perciò collegate”.
Come convivere fra diversi, dunque? Come isolare i violenti e sconfiggere la follia omicida? Talora si ha l’impressione che le risposte prevalenti siano due, al di là dell’idea dello “scontro di civiltà”: la chiusura in tante comunità separate (una sorta di enclave o di “piccole patrie”) oppure l’omologazione (simile a un deserto chiamato pace). Eppure la via più ragionevole è un’altra, per quanto impervia e tortuosa: il dialogo e il confronto tenace fra i gruppi, i singoli e le comunità. Con l’obiettivo di trasformare la distanza in spazio, per tutti e per ciascuno.