Il sostantivo “equilibrio” deriva dal latino aequilibrium, composto di aequus, uguale, e di libra, bilancia; la bilancia a due piatti è l’archetipo dell’equilibrio: così Tommaso Castellani, autore di “Equilibrio. Storia curiosa di un concetto fisico”, di recente pubblicazione. Il trasferimento analogico del concetto di equilibrio dalla fisica all’economia ha determinato l’evoluzione della teoria economica che rappresenta oggi lo sviluppo e i progressi di questa disciplina come scienza. Tuttavia la sua applicazione nel governo dell’attività economica senza tener conto delle differenze esistenti tra i fenomeni fisici ed i fenomeni economici porta a risultati controindicativi.
Il concetto di equilibrio economico, assunti alcuni dati di partenza (disponibilità di risorse, stato della tecnica, interessi da soddisfare, ecc.), è definito come la posizione ottimale alla quale un soggetto o una collettività di soggetti possono pervenire con comportamenti razionali conformi al “principio di massimizzazione”. In corrispondenza della posizione ottimale, il soggetto o la comunità di soggetti si arrestano indefinitamente, se nessuna delle condizioni o delle forze che agiscono sul soggetto o sulla comunità di soggetti si modifica; e verso la posizione ottimale lo stesso soggetto o la stessa comunità di soggetti ritornano se dalla posizione d’equilibrio originaria sono allontanati da una qualche causa di disturbo, una volta che questa viene eliminata.
Il parallelo fra le due prospettive delle fisica e dell’economia, a partire dagli autori che per primi l’hanno adottato, Leon Walras e Vilfredo Pareto, si conserva in tutto lo sviluppo successivo della teoria economica. Lo studio del fenomeno fisico si compie mediante due approcci che costituiscono la meccanica razionale e la meccanica applicata, mentre quello del fenomeno economico si compie con l’economia razionale, che studia le leggi generali dell’attività economica, e l’economia applicata, che studia le approssimazioni mediante le quali il modello teorico dell’economia pura viene adattato al fenomeno reale.
La meccanica razionale comprende la cinematica, la statica e la dinamica; così l’economia razionale comprende la cinematica economica (che, come si è detto, studia le leggi generali dell’attività economica indipendentemente dalle forze che la determinano), la statica economica (che studia le forze che consentono di pervenire a una data posizione di equilibrio stabile) e la dinamica economica (che studia il cambiamento delle forze che determinano la posizione d’equilibrio).
L’ipotesi fondamentale posta alla base della statica economica e del concetto di equilibrio economico è che le condizioni che esprimono le forze di un singolo soggetto o di una comunità di soggetti e i vincoli (risorse e tecnica disponibili, organizzazione istituzionale e posizione perseguita) non variano col tempo. Ciò significa, osserva Castellani, che lo stato di un sistema fisico, qual è secondo l’economia razionale un sistema economico, che non dipenda più dal tempo è in equilibrio, e che in questo stato è destinato a rimanere: così è e così rimarrà. Tutt’al più si può dire che il sistema è caratterizzato da un moto perpetuamente identico, ovvero che si trova in uno stato di equilibrio dinamico.
Nella realtà fisica le forze che conservano il sistema in uno stato di perenne equilibrio sono solo apparenti, per cui è inevitabile il “ritorno” del tempo; ciò accade con l’invecchiamento, nel senso che lo stato di equilibrio di un sistema che sembra destinato a non cambiare in realtà evolve lentamente nel lunghissimo periodo; sotto la lenta azione del tempo le forze che lo determinano si deteriorano.
Anche nella realtà economica le forze che conservano il sistema economico in equilibrio (risorse e tecnica disponibili, organizzazione istituzionale e posizione individuale o collettiva perseguita) si modificano continuamente: ma, a differenza di quanto accade nella realtà fisica, il fenomeno dell’invecchiamento nella realtà economica avviene secondo tempi su scala umana, cioè molto rapidamente. Il fenomeno economico, perciò, è essenzialmente dinamico, perché nessun sistema economico, anche il più semplice e il meno mutevole, è esente da variazioni in tutte o in parte delle condizioni che concorrono a conservarlo in uno stato di equilibrio statico o di semplice equilibrio dinamico.
Malgrado le differenze esistenti tra fenomeni fisici e fenomeni economici, in questi tempi di crisi – come ha sottolineato Barbara Spinelli in un suo recente articolo su “la Repubblica” – la parola equilibrio è utilizzata come sinonimo di stabilità, per cui è sempre invocato, sino a divenire la finalità ultima dell’agire economico e di quello politico necessario per il governo dell’attività economica. In tal modo, con la continua invocazione dell’equilibrio, tutte le proposte di politica economica si assolutizzano, nel senso che l’equilibrio assurge a valore supremo, non negoziabile, da custodire anche al prezzo del sacrificio delle procedure decisionali democratiche e della deresponsabilizzazione di chi è addetto al governo dell’economia in crisi, costringendo l’intera società a vivere nel regno della necessità e non in quello della libertà e del divenire.
A fronte della grave crisi che da anni incombe su gran parte dei paesi democratici ad economia avanzata, a garantire la stabilità economica non è la spasmodica propensione ad agire in conformità alla conservazione dell’immutabilità di tutte le forze che agiscono sulle variabili economiche. Le tensioni sociali all’origine dell’instabilità economica nascono, infatti, quando gli addetti al governo dell’economia si abituano alla non-responsabilità, divenendo così degli “stabilizzatori irresponsabili”, in quanto unicamente preoccupati di assumere decisioni stabilizzatrici che non irritino i mercati reali e quelli finanziari, tacitando i destinatari degli effetti delle loro azioni con la scusa dell’urgenza e dell’esistenza di “forze superiori” che le impongono.
Questi stabilizzatori irresponsabili, agendo così e motivando le loro decisioni sulla base di un rigore imposto da presunte leggi naturali, trasformano l’economia da scienza costruita per la liberazione degli uomini dal bisogno in ingiustificabili ed insopportabili catene che poste a salvaguardia di un taumaturgico equilibrio non consentono di tener conto del grado di vetustà delle forze presenti all’interno del sistema economico, tenendolo perciò costantemente in uno stato di crisi.
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