Continuiamo non di rado a leggere gli eventi d’oltreoceano con gli occhiali di casa nostra. Eppure negli States concetti come laicità, “sacro”, “profano” assumono valenze diverse dalle nostre. Nessuna meraviglia, dunque, se per i Caucus dello Iowa ci si è radunati in assemblea anche nelle chiese. Non è espressione di un comportamento bigotto, ma una pratica legata alla storia: proprio in chiesa in passato centinaia di migliaia di americani hanno imparato a discutere e a votare. E la “destra religiosa” è solo una parte, pur influente, dell’opinione pubblica legata alle comunità di fede. Come è noto, per dirne una, la liberal Hillary Clinton è membro della chiesa metodista.
Il ruolo pubblico delle comunità religiose, del resto, è parte integrante del modo d’intendere in quei contesti la laicità e la distinzione rispetto alle istituzioni politiche. Discorso analogo, per esser chiari, a quello sulle lobby.
Desta poi una certa meraviglia la presenza, in campo democratico, di un candidato di idee “socialiste”, per giunta competitivo. Altro segno di democrazia matura. In fondo da noi fino a qualche lustro fa in certi ambienti era quasi d’obbligo dichiararsi di estrema sinistra. Oggi “socialdemocratico” può sembrare una parolaccia o un insulto.
Limiti e contraddizioni non mancano negli Usa, come è noto. Ma si tratta di un Paese dinamico, reattivo, che riesce a trarre grandi lezioni e grandi ricchezze dalle differenze, pur essendo sempre precari gli equilibri raggiunti. Di violenza, anche verbale e psicologica, ce n’è tanta e occorrerebbe ridurla; in ogni caso una grande democrazia riesce a farvi fronte e a integrare in sé l’inevitabile dimensione del conflitto.