E’ morto Dino Marianetti. Proprio ieri, alla Biblioteca della Camera, veniva presentata la sua autobiografia (“Io c’ero”, ed. Ornitorinco). Era malato da tempo, ma soffriva soprattutto della malinconia di cui non può non soffrire chi vede disperso un patrimonio che ha contribuito a creare. E Dino di quel patrimonio poteva legittimamente rivendicare una quota significativa.
Fu lui il primo, dopo il risultato umiliante nelle elezioni del 1976, ad avvertire la necessità di una svolta radicale nell’orientamento del Psi: e con Federico Coen, allora direttore della nostra rivista, organizzò quel convegno aperto dalla relazione magistrale di Norberto Bobbio che segnò, prima ancora del Midas, il risveglio di tante energie presenti nel sindacato e nel mondo della cultura, fino ad allora neglette dai vertici del partito e poi valorizzate dal “nuovo corso”, innanzitutto col Progetto socialista del 1978.
E fu ancora lui il primo a battersi, negli anni ’80, per preservare quel patrimonio da pratiche degenerative che cominciavano a diffondersi, specialmente nella periferia del partito. Ricordo ancora la passione con cui, da responsabile dell’organizzazione nella segreteria del Psi, si impegnò su quel progetto di “autoriforma” che poi fallì per la tenace resistenza dei cacicchi e per la scarsa lungimiranza dei vertici: un’occasione mancata che forse non ci avrebbe salvato dallo tsunami che ci travolse dieci anni dopo, ma che almeno ci avrebbe consentito di contenere le perdite.
Agostino (Dino) Marianetti ci ha lasciato. La implacabile malattia di cui soffriva da tempo ha consentito che ieri (mercoledì 20) venisse presentato, alla Camera dei Deputati, il libro autobiografico che aveva scritto, per lasciare qualche cosa dietro di sè. Poi la morte e’ arrivata durante la notte. Ai suoi familiari ed amici vanno le mie sofferte condoglianze, perché Dino non era solo il mio leader, ma un amico a cui ero affezionato. Purtroppo, le vicende della vita (e della politica) ci avevano separato (non allontanati) da decenni, ma insieme a lui e al suo fianco ho vissuto alcuni tra gli anni migliori della mia esistenza. Agostino Marianetti è stato, a cavallo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 del secolo scorso, segretario generale aggiunto della Cgil, il vice di Luciano Lama. Guida della componente socialista di quella grande organizzazione Dino combatté in prima linea la ‘’buona battaglia’’ per l’autonomia e l’unità sindacale lungo il percorso di un riformismo (difficile ma possibile) di cui oggi sembra essersi persa ogni traccia. Erano anni duri, per il Paese, prima di tutto. I rapporti tra i due principali partiti della sinistra (il Pci e il Psi) – a cui i militanti e i dirigenti della Cgil facevano riferimento – erano pessimi, ma la Confederazione di Corso d’Italia si ostinava (anche grazie a Lama e a Marianetti) a rimanere la ‘’casa comune’’ del popolo di sinistra. Agostino era una forza della natura. E godeva di una grande prestigio nella Cgil di Lama. Era un leader coraggioso, con tanta voglia di fare, di portare avanti battaglie rinnovatrici, razionali, coerenti: una persona capace di acquisire una cultura tanto vivace e complessa, pur disponendo di un livello di scolarizzazione più che modesto. Quando Agostino scelse, nel 1983, di candidarsi alle elezioni politiche lo sostituì Ottaviano Del Turco che era il numero due della Fiom (vice di un altro sindacalista indimenticabile come Pio Galli). Marianetti, Del Turco ed io (credo doveroso aggiungere anche il compianto Cesare Romano Calvelli) eravamo un ‘’gruppo omogeneo’’. La ‘’diaspora’’ dei socialisti ha confuso i nostri destini: ma il ricordo di quei giorni e di tante sfide comuni ha rappresentato per noi un legame indissolubile. Insieme ad Ottaviano oggi sono a compiangere il nostro ‘’capo’’, in attesa che anche per me venga il momento di dire, come il vecchio Simeone, ‘’nunc dimittis servum tuum, domine’’. Perché capisco che da oggi sarò ancora più solo. Intanto saluto Dino con le parole di Walt Whitman: ‘’O capitano, mio capitano, alzati a sentire il suono delle campane’’.
Ricordo che , da giovane DC “contestatore”, ero attratto dalle persone che, come Lui , chiamavano i comportamenti umani con il loro nome , al di là che fossero praticati da affini o amici .
Poi’ , infaustamente , arrivarono i “giovani rampanti” che ci spiegarono che se un ladro era un amico , allora la sua era un’azione di “perequazione della ricchezza ” e non un furto. E da lì in avanti….siamo arrivati ad oggi!
Visti i frequentatori del Palazzo dove si e’ tenuta la commemorazione , quanti d costoro sono coscienti e cogenti degli esempi che ci hanno dato i molti Marianett che hanno fatto la nostra Storia ?