Il sottosegretario Giorgetti ha detto che l’Alitalia è un valore da difendere. E noi, come contribuenti, non solo crediamo a questa folle battaglia contro i mulini a vento, una battaglia epica che ha già dissanguato l’erario pubblico, ma ci spingiamo ben oltre: da anni impugniamo le armi in beata solitudine contro ogni vettore straniero, solleticati nelle nostre velleità patriottiche dai toni allarmistici della grande stampa.
Così, mentre le grandi compagnie incrementavano i traffici internazionali verso New York o verso Pechino, la nostra piccola e amata realtà di bandiera, tenera e provinciale, si perdeva nei meandri del mercato interno, aumentando le tratte Roma-Milano e accumulando distanza sul fronte della competitività. Ma non cresceva soltanto il divario rispetto alle altre aziende internazionali. Nossignore, cresceva anche il debito, vertiginosamente e misticamente, prima di essere equamente ripartito: gli eventuali profitti spettavano solitamente ad illustri capitani coraggiosi, il più delle volte pseudo-capitalisti squattrinati prossimi ad essere inquisiti o intenti a spolpare l’asset in questione; i debiti, invece, venivano socializzati, secondo l’antica massima che vuole Pantalone assai solerte nel ripianare i debiti dei neoliberisti all’amatriciana.
Stupisce, allora, il monito dell’Unione europea, questa minacciata vigilanza in relazione alle lagnanze della British Airways. E cosa c’è da controllare? Una società per azioni come Poste Italiane investe liquidità in una compagnia aerea. Già questo dovrebbe far notizia. Se poi aggiungiamo che la suddetta società per azioni vede il 100% di esse detenute dallo Stato, allora il quadro dovrebbe essere completo. Se poi rileviamo, in aggiunta, che la bontà dell’operazione è stata preannunciata non dall’impresa acquirente, ma da Palazzo Chigi, allora anche le ultime ombre si dovrebbero dissipare. A questo punto risulta più assennata l’obiezione del Wall Street Journal e del Financial Times, che cogliendo Letta in fallo evidenziano a turno le lacune storiche della nostra strategia industriale. Va bene, abbiamo gettato al macero un centinaio di milioni, l’ennesimo: speriamo almeno di sfruttare questi sei mesi di ossigeno per trovare un acquirente in grado di tutelare la posizione dei soggetti deboli, dei lavoratori. Ragioniamo per priorità.