E’ d’obbligo, in questi giorni, ripensare con nostalgia al nostro Gino Giugni, ironico e disincantato amico. Possiamo infatti immaginarci che si stia divertendo non poco, contemplando dai Campi Elisi, la disperata lotta a difesa di un suo lascito, diventato uno degli ultimi grandi totem delle due grandi – e opprimenti – tradizioni politiche che hanno dominato tanta parte della storia della seconda metà del Novecento in Italia: quella comunista (ivi compresa tanta parte di quel socialismo populista e radicale sopravvissuto a lungo nel Psi d’antan) e quella cattolica progressista. Si tratta di un caso esemplare d’eterogenesi di significato di un meccanismo sociale restato apparentemente immutato. Eterogenesi che evidenzia un fatto ben noto: che il significato effettivo di ogni elemento strutturale è dato non solo dalla sua specifica fisionomia, ma anche dal contesto rispetto a cui è inserito e si trova ad operare. E’ un fatto ovvio per lo storico: altrimenti le società rischierebbero di restare immutabili, laddove è il mutamento la loro costante e necessaria caratteristica.
Tanto più cruenta sarà quest’ultima battaglia in nome di glorie passate, tanto maggiore sarà la legittimazione e la forza che quella che oggi appare la sua probabile vittoria conferirà a Renzi. Ma è qui, io credo, che inizia la strada in salita dell’innovatore: giacché alla pars destruens dovrà necessariamente far seguito una proposta politica su cui costruire un consenso nuovo, fondamento per il consolidamento di una capacità di leadership permanente nella nostra società frantumata. Una proposta che non può solo identificarsi con una flessibilità del mercato del lavoro che l’economia internazionale (e non solo la Ue o il Fondo monetario) ci chiede.
E’ qui che occorrerebbe la fantasia di Giugni e di qualche altro bravo “professore”, senza cui non s’inventano strumenti efficaci. Mi chiedo ad esempio come recuperare a livello operativo – e quindi nazionale – un po’ di quelle competenze formative in materia di lavoro inesistenti a livello regionale: nel momento in cui licenzi facilmente e in cui il ristagno economico non garantisce in alcun modo che a ciò corrisponderà efficacemente una facilità di assunzioni (che non ci saranno), si deve inventare qualcosa da offrire.
Ma questo è il problema generale di Renzi: formare intorno a sé un quadro dirigente competente in grado di inventare le istituzioni e le strutture della modernità, unico modo per liquidare l’ancien Régime. Anche il più autocratico ed efficace modernizzatore dell’età moderna, Napoleone, insieme ai suoi sergenti promossi sul campo marescialli di Francia perché e solo se vincevano, usò ampiamente uomini e competenze dell’ ancien Régime. Era un genio, ma non ha lavorato da solo.
Quache anno fa un’icona della sinistra da salotto fece infuriare Renato Brunetta perchè storpiò il nome di Giacomo Brodolini. Eppure è probabile che anche lei fosse fra quanti, al seguito di Cofferati, avevano difeso senza se e senza ma l’articolodiciotto: tutto attaccato, perchè ormai diventato feticcio decontestualizzato, specialmente per quelli che dello Statuto dei lavoratori ignorano non solo i padri, ma anche l’articolo 17 e l’articolo 19.
Speriamo che a Gino vada meglio che a Brodolini, e che a nessuno venga in mente di chiamarlo Giugno. E speriamo, soprattutto, che a nessuno venga in mente di tirarlo in ballo, visto che già nel 1982, alla conferenza di Rimini, fu proprio lui a proporre la revisione di quella e di altre norme dello Statuto.
Ora, comunque, Fassina diffida il governo dal fare un decreto, e Civati auspica addirittura un referendum (sia pure light, cioè riservato agli iscritti al Pd). Anche questo è un film già visto. Un decreto sul lavoro il governo in carica lo fece già nel 1984, ed un referendum per abrogarlo fu già bocciato nel 1985. E se qualcuno cerca la rivincita trent’anni dopo sappia che è fuori tempo massimo.
Possiamo pensare alla riforma dello statuto come il cosiddetto cardine dello sviluppo economico? Oggi sono stati pubblicati i dati relativi alla natura delle nuove assunzioni. Il dato si caratterizza, per lo sviluppo dell’occupazione giovanile, nei settori di più basso profilo professionale, e certifica, ancora, il declino industriale del nostro paese. Mi preme di fare una sola raccomandazione , e questa non la faccio a Covatta, sin rilegga Riccardo Lombardi.