Qualche giorno fa si è appreso che uno dei docenti che accompagnavano gli studenti del liceo Ippolito Nievo di Padova nella visita all’Expo ha presentato la sua canonica relazione di fine anno sottolineando il “buon esito” della visita stessa, alla quale la classe di cui faceva parte il povero Maurantonio (quello caduto dalla finestra) aveva partecipato “con sincera partecipazione ed entusiasmo”. E quando qualcuno s’è accorto della gaffe, il docente si è giustificato precisando che la relazione l’aveva preparata prima della gita fatale. Pezo el tacòn del buso, dicono in Veneto: all’evidente (e tragica) imperizia in vigilando, infatti, il docente padovano ha aggiunto la sciatteria burocratica.
Quando, nell’ambito della riforma della scuola, si parla di “organico funzionale” (e magari anche di “preside sceriffo”), è bene tenere a mente l’episodio. Non per criminalizzare il povero docente. Per segnalare l’inadeguatezza pedagogica di un ordinamento fondato sulla giustapposizione di cattedra a cattedra, senza nessuna considerazione delle attività extracurricolari che sempre più debbono integrare il percorso formativo, specialmente nella scuola superiore. Non a caso, del resto, quando si tratta di seguire i giovani in queste attività la scelta cade sempre sui docenti meno “titolati”: di solito l’insegnante di ginnastica, questa volta l’insegnante di disegno. Come se il processo educativo si esaurisse nelle lezioni ex cathedra, e quanto riguarda la socializzazione fosse un di più da dare pauperibus. Già gli antichi dubitavano dell’efficacia di questo metodo (Purus grammaticus purus asinus). Figuriamoci ora, che le grammatiche si apprendono in rete, mentre la rete a sua volta è strumento di socializzazione effimero e fuorviante.
Ma che cosa c’entrano la socializzazione e l’organico funzionale con la stabilizzazione dei precari? C’entrano. Non tanto perché i centomila neoassunti debbano necessariamente essere destinati a coprire i buchi di quell’organico. Perché è proprio il sistema di reclutamento fondato esclusivamente sulla chair property (sulla proprietà di una cattedra che uno si porta dietro vita natural durante) ad aver prodotto la cifra mostruosa di precari con cui oggi dobbiamo fare i conti. Per cui fa bene il governo a sostenere che assunzione dei precari e organico dell’autonomia simul stabunt et simul cadent. Il “ricatto” non è il suo, è quello delle corporazioni che si oppongono all’innovazione formativa con gli stessi argomenti con cui Ned Ludd si opponeva all’innovazione tecnologica. Che cosa c’entrino poi le corporazioni coi sindacati e con la sinistra è una bella domanda: la stessa che si è posta Luigi Berlinguer sul Corriere del 31 maggio, osservando che gli oppositori della riforma difendono una scuola che “resta comunque di classe”, in quanto abbandona a se stessi i più deboli perché “frammentata nei saperi e nelle materie rigidamente formalizzate”.
Il problema è che spesso i docenti più “navigati” evitano con scrupolo di esporsi agli infiniti rischi che l’assunzione di responsabilità di un professore in gita scolastica deve necessariamente assumere. Se i ragazzi sono maggiorenni, non si può intervenire e tutti i decaloghi firmati dalla classe prima di partire risultano vani. Se sono minorenni, poi, di solito sono ampiamente spalleggiati dalle famiglie che protestano sulla “mancanza di libertà” dei pargoli che sono stati sgridati solo per aver distrutto l’intero piano di un albergo.
Quanto alla frammentazione e parcellizzazione dei saperi, oggi è questa la tendenza che va sempre più radicalizzandosi, in nome di un malinteso tecnocraticismo che dovrebbe essere funzionale alle esigenze del cosiddetto “mercato del lavoro”.
Dovremo chiederci: in cosa consiste la cultura che vorremmo i nostri studenti costruissero con l’aiuto della scuola. E’ utile saper maneggiare l’ultimo programma informatico quando non si riesce a trasferire questa conoscenza ad un altro sapere (per esempio al programma informatico che seguirà di lì a poco) o contesto? E’ la competenza metacognitiva quello di cui necessitiamo, sia da parte degli insegnanti che da parte degli studenti? Cioè: dobbiamo aiutare i giovani protagonisti della scuola a costruirsi strumenti di interpretazione e di orientamento nel mondo, per essere in grado di comprenderlo senza subirlo, di fare delle scelte con cognizione di causa e di tras-formarlo.
Dunque in cosa consiste la cultura scolastica? Nel costruire INSIEME questi strumenti. Perché la cultura non si dà, non si riceve, nè si acquisisce: si costruisce, perché è dinamica, come è dinamica la realtà e come dovrebbe essere dinamica l’intelligenza. L’intelligenza consiste nel sapere individuare e stabilire nessi di significazione fra i fenomeni per meglio affrontare i problemi. E’ relazionale ed ha bisogno di conoscenze, approcci e stili cognitivi che sappiano dialogare fra di loro. E’ questa, inoltre, la natura della creatività, ed è per questo che l’attuale organizzazione delle discipline scolastiche, anche se migliorata, è poco intelligente.
Infine, per affrontare il problema del rapporto scuola-lavoro c’è bisogno di competenze e saperi plurimi; la frammentazione, l’atomizzazione iperspecialistica delle discipline scolastiche non aiuta ad allenare uno sguardo globale, dinamico e creativo. Di qui l’importanza della scelta di docenti che siano funzionali al contesto nel quale opereranno, nel senso che posseggano le competenze per agire, insieme agli studenti, in modo critico e creativo. Ma queste competenze devono essere certificate e valutate secondo criteri chiari. Non possiamo fidarci della buona volontà dei dirigenti, perchè non è sufficiente.
Caro Luigi, non ti riconosco più. Che delusione
Sergio Spaziani, già socialista lombardiano
Tivoli
L’ora di religione, l’ora obbligatoria di religione cattolica.
“il concetto di cultura che esporrò/ è essenzialmente un concetto un semiotico. Ritengo che Max Weber , che l’uomo sia un animale impigliato nelle reti di significati che egli stesso ha tessuto, affermo che la cultura consiste in queste reti che perciò la loro analisi è non una scienza sperimentale in cerca di leggi ma un scienza interpretativa in cerca di significato. L’operazionismo come dogma metodologico non ha mai avuto molto senso rispetto alle scienze sociali e, tranne che per alcuni settori fin troppo sfruttati –il comporta mentalismo di Skinner , i test sull’intelligenza e cosi via,è adesso il completamente defunto. Ciò nonostante ha espresso un principio importante, che conserva un certa forza , indipendentemente dalle nostre idee sul tentativo di definire il carisma o l’alienazione in termine di operazioni. Se volete capire che cosa sia una scienza , non dovete considerare anzitutto le sue teorie e le sue scoperte(e comunque quello che non dicono i suoi apologetici ) dovete guardare che cosa fanno quelli che praticano , gli specialisti. Nell’antropologia , o per meno nell’antropologia sociale , ciò che gli specialistici fanno è etnografia. E sono comprendendo che cosa sia l’etnografia , o più precisamente che cosa significa fare etnografia, o più precisamente che cosa significhi fare etnografia che si può cominciare ad afferrare in che cosa consista l’analisi antropologica come forma di conoscenza. Occorre dire subito che non si tratta di questione di metodo. Dal punto di vista dei manuali , fare etnografia significa intrattenere i rapporti , scegliere degli informatori , trascrivere testi , ricostruire genealogie , tracciare mappe “ di campi” tenere un diario e cosi via. Ma non sono queste cose , queste tecniche e procedure convenute, che definiscono l’impresa. Ciò che la definisce è l’attività intellettuale in cui consiste ; un complesso avventurarsi , per usare il termine di Gilbert Ryle , in thick description. Le considerazioni di Ryle sulla thick description sono contenuti nei due suoi saggi (ristampati nel secondo volume dei suoi Collected Paper ) che vertono sulla questione generale di quello che come dice lui, fa “ Le penseur “ ; “Thinking and Reflectin” e “The Thinking of Thought “ . Considerate , dice due ragazzi che contraggono rapidamente le palpebre occhio destro. Nel primo caso questo è involontario , nell’altro, è un segnale di intesa ad un amico. I due movimenti sono come tali identici ; un’osservazione di tipo meramente “fotografico” , “fenomenico” non è sufficiente per distinguere un tic da un ammiccamento , e ne neanche per valutare se entrambi o uno dei due siano tic o ammiccamenti. “
C.Geerz.
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