La celebrazione del Primo maggio quest’anno ha visto da più parti levarsi un grido d’allarme: l’economia italiana è ormai al tracollo.
La crisi del Sistema-Italia è da inquadrare nel più generale scenario planetario, iniziato con il crack della Lehman Brothers nel 2008, vera e propria scintilla che ha generato il crollo del sistema capitalistico mondiale. L’attuale situazione sta facendo giustizia di alcune affermazioni tendenti a mascherare la sua gravità, in primo luogo che l’economia mondiale si sarebbe ripresa grazie alla “magia del mercato”, che ha prodotto però, solo operazioni finanziarie attraverso la speculazione, ponendo le basi per un altro collasso.
Nella relazione sull’economia mondiale pubblicata il mese scorso, le Nazioni Unite hanno sottolineato che vi sono “debolezze nelle principali economie sviluppate” alla base dei “guai economici globali”, e che la maggior parte di queste economie, in particolare in Europa, stanno “precipitando in una spirale verso il basso” con elevata disoccupazione, riduzione dei consumi, continuo rischio bancario, inasprimento fiscale e rallentamento della crescita, che si alimentano l’un l’altro in un circolo vizioso. I rapporti di tutte le altre principali istituzioni finanziarie internazionali mettono in rilievo gli stessi processi.
Il rapporto delle Nazioni Unite ha anche sottolineato i dati relativi al commercio, che evidenziano i processi alla base della contrazione dell’economia mondiale. Il commercio mondiale è diminuito del 10 per cento nel 2009, ma poi è rimbalzato in maniera significativa nel 2010. Ma nel 2011, la crescita delle esportazioni ha cominciato a rallentare e poi ha subito un drastico rallentamento nel 2012, “principalmente a causa del calo della domanda di importazioni in Europa … e della scarsa domanda aggregata negli Stati Uniti e in Giappone.”
Gli eventi economici nel 2012 hanno evidenziato la fallacità dell’assunto secondo cui, nonostante la stagnazione dei paesi capitalisti avanzati, le economie dei cosiddetti paesi “BRIC” (Brasile, Russia, India, Cina) avrebbero potuto sostenere una nuova espansione del capitalismo globale. L’analisi secondo cui i mercati “emergenti” fossero in grado di “separarsi” dalle maggiori economie è stata contraddetta nei fatti, conclamando la loro dipendenza dai principali mercati.
In Europa e in Italia, la crisi è stata scaricata sulle classi più deboli e sui lavoratori dipendenti: si pensi che nel nostro Paese negli ultimi anni 15 punti di prodotto interno lordo sono passati dai salari e dalle pensioni alla rendita, riscontrando le tesi autorevolmente sostenute tra gli altri dal sociologo Luciano Gallino di “una tenace lotta di classe contro i perdenti” portata avanti dalla “classe dominante globale”. Dietro la “Merkeleconomics” si muove la logica del profitto parassitario, vera e propria forza trainante dei programmi di austerità.
Eppure, in Europa neanche alcune tradizionali misure socialkeynesiane mostrano di funzionare. Si prenda la Francia, dove il presidente socialista Hollande ha aumentato il salario minimo del 2%; ha abbassato la soglia per le pensioni di anzianità; ha annunciato un’aliquota sui redditi dei ricchi al 75%, una tassa sui dividendi del 3% e sulle scorte petrolifere del 4%; ha assicurato che aumenterà l’imposta di successione e che recupererà la vecchia patrimoniale. Infine, ha promesso 65mila assunzioni nel settore pubblico. Insomma, per i fautori del libero mercato e delle politiche di austerità antisociali, François Hollande è un incubo, ma la disoccupazione continua a crescere e il pil a diminuire. Forse la ragione deve essere ricercata nell’impossibilità, per la Francia come per l’Italia e per il resto dell’eurozone, di utilizzare la leva monetaria per stimolare l’economia. Ha un bel dire Eugenio Scalfari circa l’efficacia delle misure della Bce guidata da Mario Draghi sul trasferimento di liquidità alle banche europee, quando quest’ultime, come nel nostro Bel Paese, non erogano prestiti alle imprese e ai cittadini, utilizzando le risorse per speculare sui debiti sovrani. L’unica strada per riattivare l’economia europea è la trasformazione della Bce in prestatore di ultima istanza, con una ulteriore diminuzione dei tassi d’interesse, per iniettare soldi in grado di rigenerare il ciclo virtuoso investimenti-lavoro-consumi-produzione (come stanno già facendo il Giappone e gli Stati Uniti), senza il quale aumenteranno drammaticamente le povertà, mentre deve essere introdotta la Tobin-tax per orientare i capitali dalla speculazione all’impresa.
E poi, contrariamente a quanto pensano le vestali dell’euro, bisogna riscrivere le regole di Maastricht, inserendo come parametro propedeutico agli altri quello delle garanzie offerte ai cittadini europei dello Stato sociale universalistico, con una moneta unica flessibile nelle sue ragioni di cambio per sostenere, quando necessario, le esportazioni europee, ed aumentare la sua circolazione contro il dogma monetarista.
Scrivi un commento