L’adesione al Pse del Pd, il partito nel quale in gran parte sono confluiti gli eredi del comunismo italiano di Togliatti e Berlinguer, fra i socialisti può suscitare diverse reazioni.
Una può essere simile a quella di Ugo Intini, che dopo la cancellazione del Partito socialista di Craxi per via mediatico-giudiziaria disse che “i post comunisti (del Pds-Ds, nda), scomparso il Psi, avevano vestito i panni dei socialisti, prendendone anche i documenti”.
Un’altra, magari sull’onda della memoria storica, può ricordare che a Livorno, in occasione della scissione di Gramsci e Bordiga che diede vita al Partito comunista d’Italia, Filippo Turati lanciò il famoso avvertimento profetico: “Quand’anche aveste impiantato i soviet in Italia se uscirete salvi dalla reazione che avrete provocata e se vorrete fare qualcosa che sia veramente rivoluzionario, qualcosa che rimanga come elemento di società nuova, voi sarete forzati a ripercorrere completamente la nostra via, la via dei socialtraditori di una volta e dovrete farlo perché essa è la via del socialismo che è il solo immortale, il solo nucleo vitale che rimanga dopo queste nostre diatribe, perché tutto il resto è clamore, è sangue, terrore, reazione, delusione. E dovendo percorrere questa strada voi dovrete fare opera di ricostruzione sociale. Io sono qui oggi alla sbarra, dovrei avere le guardie rosse accanto, perché in un discorso alla Camera (‘Rifare l’Italia’), cercai di sbozzare il programma di ricostruzione sociale del nostro paese. Voi temete di costruire oggi per la borghesia, preferite lasciare crollare la casa comune e pensate al ‘tanto peggio, tanto meglio’ degli anarchici senza pensare che il ‘tanto peggio’ non dà incremento che alle guardie regie e al fascismo”. E infine: “Il nucleo solido è nell’azione, che non è l’illusione, che non è il miracolo, la rivoluzione in un giorno o in un anno, ma l’abilitazione progressiva, faticosa, misera, per successive, graduali conquiste obiettive e soggettive, nelle cose e nelle teste, della maturità proletaria a subentrare nella gestione sociale, sindacati, cooperative, potere comunale, parlamentare, cultura, tutta la gamma, questo è il socialismo che diviene. E non diviene per altra via: ogni scorciatoia non fa che allungare il cammino. La via lunga è la sola breve”.
Già: il riformismo socialista, che in Europa, con i socialismi democratici e i laburismi, ha vinto storicamente sul piano politico e ideologico il confronto durato per tutto il “secolo breve” con l’altro grande filone della sinistra, il comunismo. Ma che in Italia, pur avendo avuto ragione sul piano storico, è risultato battuto politicamente dai gruppi dirigenti dell’ex Pci dopo il crollo del Muro di Berlino: i quali oggi potrebbero con soddisfazione dire, se l’adesione al Pse non fosse in realtà motivata da eccessivo pragmatismo, quello che disse Alberto Asor Rosa sulle pagine di “Repubblica” nel 1977: che “Gramsci si è riunito con Turati”.
Per la verità il teorico dell’ “egemonia” odiava i riformisti socialisti quanto (e forse più) dei fascisti, e dalle colonne dell’Ordine Nuovo del 28 agosto del 1920 giudicò in modo sprezzante Camillo Prampolini e l’esperienza dei riformisti reggiani: “Coi moralisti di Reggio Emilia (che avevano definito moralmente ripugnante il metodo leninista) è inutile continuare una discussione teorica. I moralisti di Reggio Emilia hanno sempre dimostrato di essere capaci di ragionamento quanto una vacca gravida, hanno dimostrato di partecipare alla psicologia del mezzadro, del curato di campagna, del parassita, di un arricchito di guerra. E’ inutile sperare che un barlume d’intelligenza illumini la loro decorosa idiozia di fra’ Galdino alla cerca delle noci per ingrassare la clientela elettorale”.
Ed oggi Gramsci e Turati si sono rincontrati sotto gli auspici della vecchia sinistra democristiana.
Ma hic Rhodus hic salta; e con l’adesione del Pd al Partito socialista europeo si pone il problema politico del ruolo e della funzione del Psi, ricordando come, dopo la scissione del 1969, il Psdi venne marginalizzato nell’Internazionale Socialista dalla presenza del Psi.
Un’ipotesi di lavoro politico potrebbe essere quella di fare del Psi il vero erede legittimo della grande tradizione socialista italiana, una sorta di “mosca cocchiera” della sinistra italiana, come furono i repubblicani di Ugo La Malfa al tempo del centrosinistra nei trascorsi anni ’60. Il Psi dovrebbe tentare la strada di diventare un “piccolo partito di massa”, per riprendere la definizione di Togliatti proprio a proposito del Pri: con una rinnovata presenza nelle organizzazioni sindacali e nell’associazionismo, ma soprattutto come centro di elaborazione di idee e progetti per tutta la sinistra italiana: un “partito-laboratorio” per tutti i riformisti e i democratici italiani, con gruppi dirigenti in grado di partecipare (e competere) nelle liste di una sinistra che unitariamente si candidi al governo della Nazione, ponendo fine alle “larghe o strette intese”. Come all’alba degli anni ’80 del Novecento, si pone per il Psi la stessa questione posta allora da Pietro Nenni: “L’alternativa è rinnovarsi o perire”.