Fra i tanti risvolti della Brexit mi soffermerei per un istante su quello culturale: sul rapporto cioè fra il Regno Unito e l’Europa “continentale”. Il mondo anglosassone, inglese e americano, ha spesso suscitato un misto di ammirazione e di rivalità in vari ambienti del “vecchio continente”. Quanti studiosi, ad esempio, sono stati esuli a Londra, da Ugo Foscolo a Sigmund Freud? E la stessa idea di rivoluzione affermatasi oltre la Manica e oltreoceano viene confrontata non di rado con quella “giacobina” (e bolscevica).
Sta a tutti noi, ai britannici come ai cittadini dell’Unione europea, non dissipare un patrimonio così ricco e fecondo, fatto di confronto continuo, di stimoli, di tensione critica e creativa.
Di certo l’esito del referendum ci scuote, fino a una sorta di incredulità. A conferma che ormai si naviga in mare aperto e “senza il vento della storia”, per usare il titolo dell’ultimo libro di Franco Cassano. Come se non ci fosse più quella “freccia del tempo” che in passato abbiamo creduto di scorgere: con i suoi percorsi inesorabili, i suoi punti di non ritorno, le conquiste sancite una volta per tutte.
Insomma: viene definitivamente meno la concezione del tempo come progresso inarrestabile e ben orientato, pur con le sue cadute, talora tragiche, e i momentanei passi indietro. Davvero, forse, la storia non ha un verso preciso. Tutto appare possibile.
Ma ciò accresce le nostre responsabilità. Non possiamo più confidare nel “vento della storia”, è vero: non per questo dobbiamo però rassegnarci a subire passivamente gli eventi, quasi fossero originati da una riedizione del fato. Con umiltà, consapevoli dell’azione possente di dinamiche complesse quali quelle scaturite nella tarda modernità da fenomeni di globalizzazione tumultuosi, dovremmo cercare di far leva, nelle nostre scelte e nei nostri comportamenti, sui principi di libertà, di equità e di inclusione. Anche in mare aperto, infatti, si può evitare di cadere in preda al caos e al marasma.