Viviamo per certi versi una situazione paradossale: una risposta soddisfacente e adeguata alla crisi che ha dimensioni planetarie può venire solo dal coordinamento dei grandi soggetti, fra i quali l’Unione europea. Valga per tutti l’esempio del governo dei flussi migratori.
Non a caso Luigi Covatta alla recente Conferenza programmatica del Psi ha sostenuto: “Sarebbe ormai tempo che la ‘sezione italiana del Pse’ – e cioè il Psi e il Pd – sollecitasse la convocazione di un congresso straordinario del Pse per discutere della crisi che sta scuotendo l’Unione”. Solo a partire da quest’angolo del mondo nel quale ci capita di vivere si può levare una voce autorevole dinanzi agli squilibri globali.
Eppure i singoli Stati e le forze politiche nazionali faticano molto a muoversi in tale ambito, quasi fosse per loro neppure una seconda, bensì una terza lingua. E studiosi autorevoli si chiedono se vi sarà mai un demos europeo, oppure se vivranno uno accanto all’altro tanti demoi. Da un lato la debolezza dei partiti nazionali ne riduce la capacità di incidere a livello continentale, dall’altro è proprio tale handicap ad accrescerne la tendenziale “anemia”. Fin quando, per restare nel campo del centrosinistra, il Pse resterà un guscio quasi vuoto? E qui si pone la domanda cruciale: come ridestare l’inclinazione dei cittadini, avvezzi al disincanto, per la politica internazionale e per l’Europa?
D’altro canto si pone la questione del coinvolgimento e della partecipazione dei cittadini “in loco” alla soluzione dei problemi. In particolare la sinistra “sociale”, più che rincorrere nuove, improbabili formazioni o alimentare una sorta di “scisma sommerso”, farebbe bene a riflettere sulla crisi o sul fallimento di varie forme di partecipazione “dal basso”. Dopo la Costituente di Occhetto, volta a dar vita a un nuovo soggetto, i più sensibili al sociale erano suggestionati ad esempio dalla “Costituente della strada”, che avrebbe dovuto incarnare e dar voce alle forze del volontariato e dell’impegno civico suscitando passioni ed esprimendo istanze trascurate o rimosse. Una sorta di autogestione plurale e democratica.
Il successo della Lega di Bossi suscitò poi il tam-tam di una nuova parola d’ordine: “territorio”. La sinistra perde in quanto si è allontanata da esso, si diceva.
Per non citare i discorsi sul ritardo col quale l’Italia ha effettivamente istituito le regioni (e intanto proseguiva la moltiplicazione delle province, di cui pure nel frattempo si erano compresi i limiti: enti locali volti a collocare le piccole nomenclature e i notabili, e non “radar” tali da intercettare le istanze delle comunità).
Insomma: vi è tutta una dimensione della concezione del potere (per non dire dell’idea di “contro-potere”) “dal basso” che, all’epoca del “glocal” sembra naufragare. E si tratta di aspetti che sovente avevano accomunato le culture riformiste: si pensi al municipalismo cattolico e a quella sorta di organizzazione a rete del primo Psi, tale da valorizzare le autonomie locali.
Un tempo si esclamava: il re è nudo! Oggi verrebbe da aggiungere: sono nudi gli Stati e i soggetti nazionali, per la debolezza degli altri versanti dell’iniziativa politica, proprio quando questi ultimi sarebbero chiamati ad assumersi le maggiori responsabilità. Solo dall’equilibrio e da una sana tensione fra le varie scale di grandezza dell’agone pubblico può provenire qualche risposta ai mali che ci affliggono.
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