Il risultato delle elezioni regionali in Sicilia rappresenta un nuovo macigno nella crisi della politica italiana. E Le parole della bella canzone di Franco Battiato “E ti vengo a cercare”, scritte nel 1988, suonano attuali ai giorni nostri per ormai molti squallidi avvenimenti nella politica italiana: “Un secolo oramai alla fine/saturo di parassiti senza dignità”.
Oggi come allora, nella fase precedente al deflagrare di Tangentopoli, il ceto politico nostrano dà pessima prova di sé, alimentando il distacco dei cittadini dalle istituzioni. D’altronde come potrebbe essere diversamente? Con una crisi economica e sociale senza precedenti, con le maggiori forze politiche che hanno abdicato al proprio ruolo delegando ai “tecnici” l’esercizio della sovranità popolare; con una drammatica caduta del potere d’acquisto delle famiglie; con la riduzione del Welfare; con la disoccupazione che dilaga, specie nel Mezzogiorno e in Sicilia; e con partiti e uomini politici voraci, i cui stili di vita lussuosi sono alimentati esclusivamente dalle risorse pubbliche, visto che, in gran parte, si tratta di persone senza lavoro o attività proprie, “professionisti della politica”.
Sembra inverarsi quanto scriveva il grande teorico dell’elitismo Max Weber nel 1919, nel suo “Il lavoro intellettuale come professione”: “Di politica come professione vive chi tende a farne una duratura fonte di guadagno”, leggendo le cronache di questi ultimi mesi:, dal “Trota” e dall’uso distorto dei fondi pubblici da parte della Lega, passando per il gigantesco patrimonio immobiliare personale costituito dal senatore del Pd Luigi Lusi che amministrava i rimborsi elettorali di un partito che non c’è più, sino alle fantasmagoriche vicende di “er Batman” (come si fa ad attribuire ad un personaggio come Franco Fiorito il nome del “Dark Knight”, l’uomo-pipistrello che combatte nei fumetti il male e le ingiustizie?), con il vorticoso giro di denaro pubblico transitato nei suoi conti correnti e in quelli dei suoi sodali. Sembrano, ancora una volta, inverarsi le tesi sulla partitocrazia elaborate dal costituzionalista Giuseppe Maranini, con l’occupazione pervasiva da parte dei partiti dei gangli statali a fini privati; o quelle di Panfilo Gentile (definito “reazionario” per la sua opposizione al marxismo e alla “mondanizzazione della chiesa”, nella fase di elaborazione del “cattocomunismo”) sulle “democrazie mafiose”, quando descriveva negli anni ’60 del XX secolo la “degenerazione della democrazia verso un regime di ‘tessera’”, e deplorava “la prefabbricazione dei responsi elettorali da parte dei grandi partiti” e “la deviazione di tutti gli organi amministrativi ed economici, statali e parastatali, dai loro compiti statutari e la loro utilizzazione come fortilizi di potere”.
La crisi italiana, ad un tempo economica e morale, richiederebbe una forte capacità della politica di autoriformarsi, a partire dal taglio dei privilegi, che in verità non riguardano solo i membri del parlamento o dei consigli regionali, ma anche la Corte costituzionale, l’alta burocrazia di Stato, i manager delle aziende pubbliche, le “pensioni d’oro” e i cumuli previdenziali.
Bisognerebbe, in primo luogo, disciplinare la vita dei partiti, sostanziando l’art. 49 della Costituzione (assieme ai sindacati, come previsto dall’art. 39 della nostra Carta fondamentale, destinatari di cospicui flussi di risorse pubbliche), e sottoporre i loro bilanci a controlli di società di certificazione e a pubblicità sui media, ponendo un tetto ai mandati elettivi.
Ma, purtroppo, è difficile che un sistema si autoriformi, e quindi, come nel 1992-94, si potrebbe avere un nuovo crollo della politica nazionale, questa volta segnato da un acuto conflitto sociale.
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