La possibile ascesa di Daniela Santanché alla vicepresidenza della Camera ha scosso comprensibilmente il Transatlantico, scatenando scompiglio in maniera bipartisan: se da un lato le obiezioni del PD risultano legittime, poiché il ruolo di garanzia imporrebbe una figura moderata assai distante dalla “pitonessa” pidiellina, le obiezioni provenienti da Arcore sono parimenti sacrosante.
Da quando in qua si chiede ad un partito di designare il candidato, salvo poi censurarlo per manifesta impresentabilità? Non sta bene, tanto più che il concetto in questione appare del tutto estraneo alla cultura politica dell’establishment berlusconiano. Ora, in un movimento che ha espresso Previti alla Giustizia (ipotesi scongiurata dall’irriverente interpretazione del dettato costituzionale adoperata da Scalfaro), Cosentino alle Finanze, la Gelmini all’Istruzione, e chi più ne ha più ne metta, Daniela Santanché può rivendicare con ogni evidenza quel basso profilo da statista che le consente di mediare fra le parti, tanto più dopo aver partecipato all’assai pacata manifestazione “siamo tutti puttane”, indetta ed organizzata da quel noto bocconcino di Giuliano Ferrara.
La stessa Santanché, fra l’altro, è nota alle cronache per la sua sincera e rispettabile storia d’amore con Alessandro Sallusti, sia detto senza ombra di sarcasmo. Già direttore del Giornale di famiglia, il nostro milite noto è attualmente impegnato in un’ammirevole battaglia: poiché il lìder maximo non intende frenare il proprio libertinismo sessuale (ricordate il famoso “meglio sciupafemmine che gay“?), occorre trasformare il paese a sua immagine e somiglianza. E via così, in una battaglia sessantottina per la liberazione dei costumi, con tanto di dotti e immondi riferimenti letterari degni della nostra grande cultura nazionale.
In questa intricata matassa simile ad una cloaca, la sinistra – come spesso accade – interpreta il ruolo di spettatrice non pagante. Sì, perché il vero problema di fondo sta su questo versante politico: se si ritiene, sentenze alla mano, Berlusconi un evasore fiscale, un corruttore ed un concussore, una personalità ingombrante da evitare con cura, come si può successivamente avallare, sia pure per un imprecisato interesse nazionale, l’idea di un governo di larghe intese con chi risulta essere direttamente espressione di quella leadership? E’ vero, si obietterà, il Cavaliere non odora d’incenso, ma gli italiani lo hanno votato nonostante tutto e coi dati elettorali bisogna fare di conto, accettando il Bentivoglio Angelino di turno. Giusta osservazione, per carità, lucida e lungimirante, ma l’etica e la questione morale dove sono finite? In soffitta? Può la sinistra accettare supinamente qualunque interlocutore, scendendo a patti sul terreno ispido del compromesso, per giunta caratterizzato da improbabili piani costituenti, per il solo fatto che una quota parte di elettori ha legittimato una data forza politica? Anche il Msi, un partito a suo modo con chiari confini istituzionali, aveva storicamente il supporto di una fetta rilevante della società, eppure quelle preferenze venivano considerate al più alla stregua di voti in libera uscita dall’area Dc.
Qua risiede la grande contraddizione delle forze riformiste. Per liberare le energie positive del paese è imprescindibile ormai liberare il paese stesso dal giogo mediatico del caimanismo politico. Nulla contro l’uomo, per carità. Semplicemente ci ha rovinato.
L’etica e la questione morale temo che siano finite appresso a De Gregorio, a Scilipoti e agli altri campioni della moralità che Di Pietro è andato a scovare negli angiporti per portarli in Parlamento e liberare così “le energie positive del paese”. E se la sinistra continuerà a consolarsi delle proprie sconfitte con la scusa del “caimanismo” resterà spettatrice, lasciando a noi il biglietto da pagare. E saremo sempre noi a pagare il biglietto se gli “improbabili piani costituenti” resteranno tali. Ed il biglietto sarà ancora più costoso se il governo Letta fallirà.
E’ un particolare che sfugge non solo a Lombardo, ma anche ai “falchi” del Pdl – alcuni dei quali di moralità specchiata – che hanno designato la Santanchè. Non dovrebbe però sfuggire al Pd, se vuole affidare le proprie sorti all’intelligenza politica e non all’iniziativa delle Procure.
Un’ultima considerazione: la democrazia rappresentativa si gioca tutta “sul terreno ispido del compromesso”. Anche per questo esiste un fair play istituzionale che è molto pericoloso violare. Ai tempi della prima Repubblica venne violato due volte: quando la Dc impedì l’elezione di Lelio Basso alla Corte costituzionale, e quando anni dopo il Pci impedì l’elezione di Federico Mancini alla stessa carica. E la prima Repubblica non finì molto bene.
Apprezzo molto il commento critico fatto da Covatta e colgo l’occasione per spiegare meglio il mio punto di vista, avendo forse offerto il fianco a delle interpretazioni che vanno oltre le mie intenzioni.
1) Non ho il tabù della riforma costituzionale e penso anzi che Craxi, anni or sono, avesse individuato una delle storture presenti alla base del sistema. Parentesi: sono dogmatico soltanto in Chiesa, e anche lì qualche remora nel segreto della confessione la custodisco gelosamente; né penso, per altri versi, che il fallimento del Governo Letta sia cosa buona e giusta per il paese. Mi limito, semmai, ad evidenziare come l’intero Esecutivo oggi sia sostanzialmente in balìa delle intemerate del Cavaliere, contravvenendo in tal modo all’impegno preso non di fronte al Presidente della Repubblica, ma di fronte al Parlamento, allorquando si stilò una scaletta delle priorità che oggi viene puntualmente ignorata rinviando sine die i problemi incombenti. Se è vero che in democrazia il voto è un diritto e se è vero che chi ha un voto di più vince, per senso di responsabilità, con un’affluenza attorno al 50%, le forze politiche dovrebbero essere prudenti nell’approcciarsi alla riforma costituzionale, una riforma delle regole comuni su cui francamente nutro parecchie perplessità di merito.
2) Il “terreno ispido del compromesso” può serenamente essere percorso nel momento stesso in cui culture politiche profondamente differenti si riconoscono l’un l’altra, accettando le regole del gioco democratico e rendendosi portatrici di istanze differenti. Purtroppo oggi così non è: ripeto, anche il Movimento Sociale muoveva obiezioni per una repubblica presidenziale, oggi rispolverate non a caso dalla corrente aennina del pdl, eppure mai tali considerazioni furono prese in considerazione dal cosiddetto arco costituzionale, ove la classe dirigente era ben conscia dell’importanza della mediazione delle forze politiche e del Parlamento tout court. Detto questo, il mio timore, ed il motivo che mi spinge formalmente a denunciare il clima di inciucio (parola orribile, che purtroppo rende benissimo il senso del concetto) è che ancora una volta la sinistra possa prestarsi al “gioco di Facta”: l’idea di Cavalcare il leader autorevole di turno per addomesticarlo ed integrarlo nella logica del sistema. Lungi da me ogni massimalismo, ma già una volta questo sistema c’è costato la via democratica. Vorrei far tesoro degli errori passati.
Con stima.
G.L.