Trovo di estremo interesse gli interventi di Riccardo Nencini e di Antonio Funiciello sul numero di giugno di mondoperaio. Il discorso investe non solo il senso e il ruolo dell’Internazionale socialista, bensì, più in generale, orizzonti e prospettive del campo democratico. Per decenni, come ricorda Funiciello, quell’organizzazione ha provato a coordinare le politiche di redistribuzione della ricchezza praticate o tentate su scala nazionale. Ma in un mondo globale, ove i muri, visibili e non, fra primo, secondo e terzo mondo non sono quelli di una volta, altre sono le dimensioni e la portata dei flussi di persone, merci, denaro. Da qui l’apparente paradosso della gravissima crisi di un soggetto come l’Internazionale socialista.
Come ci facevano notare a scuola, il socialismo, nato nell’Occidente europeo, nella sua versione “rivoluzionaria” sembrava essersi affermato altrove: in Russia, in Cina, a Cuba, ad esempio. Oggi, proprio dinanzi alla globalizzazione, Marx, definito dal filosofo Jacques Derrida un “immigrato clandestino”, torna a interrogarci. E la socialdemocrazia, quella bernsteiniana, è forse di nuovo nell’Occidente europeo che si gioca il suo futuro. Le forze socialiste e laburiste del vecchio continente non possono delegare ad altri un’opera di elaborazione della propria esperienza e dei propri errori, lungo il solco di una sorta di revisione permanente.
Altrove, nel mondo, idee e principi socialisti si sono confrontati e non di rado incontrati con altre storie e altre sensibilità: si pensi a Martin Luther King o a Nelson Mandela. Si potrebbe obiettare che la “contaminazione” caratterizza ovunque la storia socialista: sappiamo come è nato in Francia il Ps e nel Regno Unito si rileva da decenni come il movimento metodista abbia probabilmente influenzato il Labour più degli scritti di Marx. Quello stesso metodismo che ha toccato in profondità proprio un uomo come Mandela. Ciò, però, non dovrebbe deresponsabilizzare noi europei rispetto alla tradizione del nostro riformismo. Proprio così potremo contribuire a delineare i tratti di una narrazione democratica universale, nutrita dalle differenze.