Ridurre tutto un ciclo politico durato un ventennio ad una sola questione generazionale, rischia di avere il sapore delle cortine fumogene, dei fuochi di sbarramento.
La logica della rottamazione non convince proprio nel cuore della sua pur scontata filosofia. La crisi politica, sociale ed economica di un intero paese, acuitasi al cubo dopo il biennio manettaro ‘92/’94, non è soltanto un problema riconducibile alle carte d’identità dei protagonisti.
Appare invece un banale tentativo di assolvere gruppi completi di classi dirigenti, dal reato maggiore, imputandogliene uno minore: quello dei raggiunti limiti di età a dispetto di quello di aver contribuito, pur di restare in sella, al completo disfacimento di una intera nazione. E questo, anche quando le lancette della storia avrebbero dovuto indicare altri percorsi.
Addebitare i dissesti della (c.d.) II Repubblica al solo Berlusconi, è l’altra chiave di lettura artificiale utilizzata dai rottamatori ma non disdegnata dai rottamandi nel tentativo di difendere il difendibile.
Certo, se avessero raccontato l’attualità all’algido Massimo D’Alema (tanto per fare nomi) quel giorno nel garage di Botteghe Oscure, allorquando strinse il patto di ferro con Occhetto (a salma di Berlinguer non ancora inumata) avrebbe offerto il beffardo ghigno di sempre. Ma anche questo tipo di tratti psicosomatici, sono destinati prima o poi, a passare di moda.
Renzi di sicuro non è peggio della classe politica che l’ha preceduto (e che gli ha servito la pappa scodellata, non scordiamocelo) e qui si ferma l’opinione di chi scrive sul personaggio.
Però in qualche maniera, il terranova fiorentino, sta svolgendo un gioco di salvataggio proprio nei confronti di quei giovani figiciotti di un tempo, che cinicamente e senza dubbi morali, rottamarono a loro tempo quel che restava del togliattismo e del berlinguerismo in pochi colpi ben assestati.
Ma in questo modo, legando tutto appunto ad una mera questione di anzianità di servizio, se ne sottace in fondo la responsabilità politica.
Nel 1989 cadde il muro di Berlino, ma in Italia (unico caso nel mondo occidentale) le macerie finirono addosso al sistema democratico (criticabilissimo e certo con urgenza di riformazione) ma salvarono gli ex aderenti all’imperialismo rosso.
Tangentopoli contribuì non poco a realizzare una stranissima selezione politica, dove venne risparmiato un intero partito in blocco (il PCI-PDS) e alcuni pezzi degli altri (su tutti l’area demitiana della DC, della quale il buon Renzi e figliolo).
Ma l’effetto che ne è scaturito, non è certo stato benefico per noialtri italiani.
Eravamo (senza che si dicesse troppo in giro, per via del Vaticano e di una borghesia troppo sensibile) un paese sostanzialmente socialdemocratico e keynesiano. Anche grandi settori della DC avevano contribuito a questo dato di fatto, in buona sostanza.
L’industria e le aziende di Stato godevano di buona salute, nonostante la costante bulimia dei partiti di governo che le riempivano a dismisura di clienti e vagabondi di varia natura; gl’italiani erano proprietari di buona parte delle loro banche (73% nel 1990); dell’energia; delle telecomunicazioni; delle infrastrutture; dei trasporti, dell’industria pesante e di quella ad alta tecnologia.
L’impresa privata era a sua volta avvantaggiata dal sistema misto e ancora capace di forte competitività internazionale. Questo quid di volontà politica e abilità imprenditoriale, avevano (non a caso) portato l’Italia al 5° posto tra i paesi più ricchi del mondo.
Oggi dopo il ventennio dei “miracolati” se diamo un’occhiata a tutte le varie classifiche (comprese quelle legate a corruzione e ad efficienza della giustizia) arriviamo spesso anche oltre il 100° posto.
Ecco perché la logica della rottamazione è da rispedire al mittente, accompagnata da un bel NO grazie.
Lo stesso D’Alema se ne faccia una ragione e abbia la capacità di trovare le parole per spiegarci quello che è realmente accaduto in questo ventennio. Non è detto affatto che la sua quasi ormai cinquantennale carriera sia giunta al capolinea, ma sarebbe utile che dopo una quantità di occasioni sprecate, ne trovi una per giustificare tutto questo tempo trascorso nelle stanze dei bottoni, a spese nostre.
Caro Silvestri, sono in grandissima parte con te sulla valutazione della “pseudo rottamazione anagrafica”. La crisi attuale, come quella del 1929 sono un chiaro prodotto dell’ingordigia capitalistica, aggravata dalla corsa da furbi alla ricerca del massimo profitto sulla pelle degli ignoranti e dei meno abbienti abituati ai tanti soprusi sopportati con “cristiana rassegnazione” da elementi che, dopo De Gasperi ed i governi impegnati seriamente alla ricostruzione dell’Italia, hanno dovuto sottostare ad una logica di supremazia per tamponare o ripetere quanto aveva fatto il fascismo nella lotta alle organizzazioni democratiche dei Partiti, del Sindacato e delle Organizzazioni Cooperative che diventavano sempre più veeicoli di democrazia e di socialismo!
L’assassinio di Matteotti è stato il più significativo atto di quell’epoca, ma, il capitalismo e la Monarchia Sabauda non ostacolarono Mussolini nella creazione dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) paghi forse della conquista etiopica ed albanese di cui si poteva fregiare Vittorio Emanuele III (Re d’Italia e d’Albania e imperatore d’Etiopia).
Il galoppante nazismo germanico, contrastato dalle lotte lotte partigiane, cui parteciparono uomini illustri di varia estrazione politica,crearono le condizioni di un’intesa democratica di ampio respiro, che diede vita a Governi di LN con l’unico obiettivo della ricostruzione del Paese che aveva perduto la guerra, ma si era ritrovata unita nella lotta alla supremazia nazista.
Questa premessa e necessaria per poter fare il distinguo tra le due crisi, del 29 e dell’attuale e dei momenti storici completamente diversi ma, per qualcuno forse NO. Per me il qualcuno, e non è il solo, si chiama Massimo D’Alema che, lungi dal fare una più che seria analisi della realtà politica dei velocissimi cambiamenti planetari che ci hanno fatto precipitare nella graduatoria dei Paesi “ricchi” dal 5° al 16° rigo, si è preoccupato di scalzare i socialisti dall’intesa coi cattolici, inventando un filing DC-PC a livello regionale, provinciale e comunale per limitare il potere dei compagni socialisti.
In quelle istituzioni governate dal Centro sinistra col PCI all’opposizione, la gestione effettiva del potere era affidata ai Presidenti ed ai Sindaci ed ai rispettivi capo gruppo dell’opoposizione comunista, in barba alle Giunte d’intesa ed al “Premio Stalin” concesso a Pietro Nenni.
Non si faceva più politica, ma si ricorreva per ogni cosa alla magistratura con i “Pretori di assalto fino alla invenzione del nuovo astro Di Pietro cui venne assegnato il più sicuro collegio senatoriale.
La confessione di questa linea il carissimo D’Alema l’ha fatta a Sergio Zavoli, quando in una intervista, alla sua domanda: “Ma dopo la caduta del Muro di Berlino, onorevole D’Alema, non sarebbe stato più utile una intesa per fare un unico e forte Partito Socialista a sostegno della Nuova Europa cui i socialisti avevano tanto lavorato?” D’Alema, titubante, rispose:”Era giusto ma, purtroppo c’era CRAXI!”.
La riserva di D’Alema non era sul ladro CRAXI ma sul Leader del socialismo che aveva avuto il torto di traghettare i DS di Occhetto nell’Internazionale Socialista.
….Craxi fece bene a traghettare il pci pds nell’internazionale socialista di cui era il principale esponente….fu del pci pds il torto allora di non voler “Rottamare” la vecchia nomenclatura e diventare un vero partito socialista pagandone lo scotto iniziale (scotto non evitato successivamente con la nascita di RifCom) e di conseguenza per non perdere la vecchia nomenclatura Comunista Craxi fu sacrificato…..