Troppe volte l’impostazione educativa di chi oggi ha fra 40 e 50 anni è stata considerata solo il “frutto” del ’68 o del confronto aspro fra gli anni ’70 e ’80. O magari il risultato degli “insegnanti comunisti”. In realtà di motivi culturali ve ne erano tanti. Ricordo un’immagine sul libro di antologia delle scuole medie: tante persone che avevano al posto della testa uno schermo televisivo.

Ecco: la “teledipendenza” era un bersaglio polemico frequente dei professori. Altro motivo ricorrente (almeno in base alla mia esperienza) – accanto ai temi della droga, concepita come fuga, evasione, alienazione, o del degrado ambientale – era la civiltà contadina in estinzione, sostituita dalla smania dei consumi. Come non scorgere in ciò un’eco del discorso di Pier Paolo Pasolini?

Per Aristotele la paideia (l’educazione) era un modo per trasformare la virtù in abitudine. Non a caso molte di tali idee fanno ormai parte inevitabilmente della nostra vita e del nostro background. Oggi si tende a scindere con più decisione educazione e istruzione, e la scuola è quasi solo un veicolo di nozioni. Eppure ancora mi chiedo: entro quale cornice tali nozioni si collocano?