Le Fondazioni di origine bancaria sono soggetti non-profit, privati e autonomi, nati all’inizio degli anni Novanta con la legge Amato, con cui è stata realizzata la separazione dell’attività creditizia da quella filantropica. La prima è stata scorporata e attribuita alle Casse di Risparmio e alle Banche del Monte Spa, trasformate in società private “for profit”, disciplinate dal Codice civile e dalle norme in materia bancaria e finanziaria, analogamente alle altre banche. Le attività finalizzate allo sviluppo sociale, culturale, civile ed economico sono state attribuite a Fondazioni dette “di origine bancaria” proprio perché nate in occasione della riforma del sistema bancario italiano.
Inizialmente, le Fondazioni sono state rese titolari anche della proprietà di tutte le azioni in cui era stato ripartito il patrimonio delle neonate società bancarie. La proprietà delle azioni è stata però ridotta progressivamente negli anni successivi, fino a scendere sotto la quota di controllo per la maggior parte di esse. Le Fondazioni hanno raggiunto la loro definitiva caratterizzazione, sotto il profilo istituzionale e giuridico, con la riforma Ciampi del 1998/1999, che ha portato al riconoscimento della loro natura giuridica privata.
Le Fondazioni sono ora 88, diverse per origine, dimensione e operatività territoriale; il loro ruolo è di promuovere lo sviluppo e la crescita dei territori su cui insistono e sono radicate, ma anche dell’intero paese: si tratta di un ruolo che è stato ordinato su due livelli, come enti erogatori di risorse ad istituzioni “non-profit” e agli enti locali, e come investitori istituzionali. Come enti donatori ogni anno le Fondazioni nel loro insieme devolvono alle istituzioni, con finalità sociali, consistenti risorse tratte dagli utili generati dall’investimento del loro patrimonio. Come investitori istituzionali investono il resto dei loro utili solo in parte in attività bancarie, indirizzando il resto verso investimenti di medio-lungo termine riguardanti anche attività extrabancarie e finalizzate alla promozione ed al sostegno dello sviluppo e della crescita dei territori regionali e dell’intero paese.
La riforma bancaria realizzata all’inizio degli anni Novanta non ha mancato, tuttavia, di produrre esiti negativi sul sistema-Italia; avrebbe dovuto rendere immune la gestione delle banche dalle “pressioni politiche”, ma in realtà la politica ed i partiti, cacciati dalla porta, sono rientrati dalla finestra, perché gli organi di gestione delle Fondazioni sono stati costituiti da rappresentanti politici.
D’altra parte quanto è accaduto con l’assalto alle fondazioni bancarie da parte dei partiti non deve meravigliare, considerato che il controllo delle banche, o il potere di influenzarne le decisioni, è sempre stato uno strumento utilizzato per guadagnare consensi elettorali.
Se le banche controllate dalle Fondazioni avessero operato solo nei territori di riferimento non ci sarebbero stati problemi: nel senso che eventuali “operazioni anomale” nella concessione del credito ad alcune imprese piuttosto che ad altre, o ad alcuni partiti piuttosto che ad altri, sarebbe stato un “fenomeno limitato”, ed i territori che ne avessero subito gli esiti negativi avrebbero avuto a disposizione l’arma del voto per fare piazza pulita alla prima occasione.
Senonché alcune Fondazioni hanno acquisito peso nelle determinazione della governance dei principali gruppi bancari italiani che agiscono su tutto il territorio nazionale. Tali gruppi avrebbero dovuto tendere ad accrescere il valore complessivo della loro organizzazione nell’interesse dell’intero territorio nazionale e non di singoli territori regionali, anche in considerazione del fatto che non tutte le circoscrizioni regionali hanno disposto sin dall’origine della presenza di una Fondazione.
Per tutti gli “aspetti critici” indicati, è motivo di qualche perplessità il commento favorevole che Carlo Trigilia, in un suo articolo comparso di recente sul n. 1/2013 de Il Risparmio (la rivista dell’Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmi Spa) nei riguardi di un progetto promosso da tale associazione per favorire lo sviluppo e la crescita del territorio, al quale hanno aderito sette Fondazioni. Obiettivo del progetto è quello di aiutarle a “selezionare un’efficace leva per lo sviluppo locale, e mettere a punto interventi che siano caratterizzati da un alto grado di coinvolgimento degli attori locali e che abbiano una ricaduta ad ampio raggio sulla società locale”.
Sull’opportunità di simili progetti vi sarebbe poco da obiettare, e molto invece per essere certi che si tratti di iniziative destinate al sostegno dello sviluppo e della crescita dei territori in ritardo sulla via della modernizzazione economica e sociale. Preoccupa però che anche di recente il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, nelle sue “Considerazioni Finali” lette in occasione dell’ultima Assemblea, abbia auspicato che il ruolo delle Fondazioni nelle partecipazioni bancarie sia sempre rispettoso della forma e dello spirito della legge che le disciplina: l’esternazione preoccupata del governatore è stata successivamente confermata dalla denuncia che su molti dati dei bilanci delle Fondazioni c’è scarsa trasparenza e che per lo scarso rispetto della legge che ne disciplina la gestione i patrimoni corrono il rischio di assottigliarsi.
Tutte ragioni, queste ultime, che consigliano l’urgenza di un nuovo assetto della governance delle Fondazioni. Le stesse ragioni consigliano anche che, laddove si incontrassero resistenze a realizzare il nuovo assetto, i patrimoni delle Fondazioni siano utilizzati per abbattere una parte del debito pubblico. Sarebbe l’opera di pubblica utilità che maggiormente potrebbe contribuire a finanziare le riforme strutturali tanto auspicate ed attese per iniziare a rilanciare lo sviluppo e la crescita dell’intero paese.
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