Sulle due manifestazioni svoltesi a Roma sabato scorso c’è poco da dire: l’una esprime una mobilitazione popolare per schierarsi con un uomo politico che si ritiene perseguitato dai giudici per l’andamento di una serie di processi penali. L’altra per chiedere l’applicazione di una legge che non c’è o non è applicabile ad un caso che non presenta le fattispecie previste. L’art. 10 del TU relativo alle elezioni parlamentari non può essere oggetto di un’interpretazione estensiva: è dottrina comune, per quanto concerne le norme limitative di un diritto fondamentale come quello che concerne l’elettorato passivo ed attivo.
Ora, proporre pubblicamente non già una nuova legge, ma un’interpretazione infondata e illegittima di una legge esistente, e mobilitare su di essa un’opinione pubblica surriscaldata dovrebbe avere quasi un carattere eversivo. Perché un filosofo e qualche politico possono intervenire a gamba tesa su una questione tanto delicata proponendo una loro lettura dell’ordinamento senza che vi sia una reazione corporativa di giuristi, avvocati e magistrati che respingano questa singolare invasione di campo? Ciò non avviene semplicemente perché queste stesse corporazioni sono segnate da divisioni tali che ne impediscono il corretto funzionamento. Mai come oggi vale il detto che “la legge s’applica per gli avversari e s’interpreta per gli amici”.
Ma, ripeto, interpretare l’art. 10 non è veramente possibile: perché, nel caso in ispecie esso si applica e si applicava alla posizione di Confalonieri, non a quella di Berlusconi. Non v’è alcun dubbio: la formulazione è probabilmente inadeguata anche rispetto ai fini che il legislatore si riprometteva, ma certo non è passibile d’interpretazioni estensive od analogiche.
Sin qui la cronaca, che ripete ancora una volta la vicenda ormai annosa della crisi della nostra Repubblica. Il problema infatti non è un “uso politico” del diritto o del processo penale. I miei e nostri amici, da Rodotà ad Amato, con tutta una generazione di nuovi giuristi semirivoluzionari, hanno costruito l’equazione tra diritto e politica, accentuandone e legittimandone gli ulteriori sviluppi. Lo sappiamo: dal Codice Napoleone a Giustiniano la legge è atto politico per eccellenza; e sappiamo anche che non c’è aspetto di maggior governo della società che il processo penale. Lo sapeva Catone con il processo agli Scipioni, e i nemici dei Gracchi con i processi di massa ai seguaci di questi; lo sapevano anche i sovrani francesi, usando un’altra forma del processo penale per liberarsi dai templari. E lo sapeva infine il progetto di pulizia morale del Terrore, con l’uso del processo per forgiare l’uomo nuovo, come farà poi Stalin. Che c’è di nuovo?
Di nuovo c’è che ho menzionato a caso poteri politici fortissimi che per divenire ancora più forti nello scontro politico si sono avvalsi anche di quello strumento di dominio che è il processo penale. Ed è qui che il caso italiano diventa interessante, perché di poteri politici non c’è neppur l’ombra.
Perfettamente d’accordo per il futuro, ma alla prima elezione la norma era applicabile ed anche alla seconda. Il nodo è rappresentato dall’art.64 Cost e dalla cosiddetta autodichia delle Camere. Si tratta di giustizia politica. Berlusconi lo sa tanto bene che stavolta si è candidato al Senato e non alla Camera. Pochi sanno che secondo le SS.UU.della Cassazione, se si vota con una legge elettorale incostituzionale, l’unico organo competente ad esaminare il problema sono le Giunte delle Elezioni delle Camere elette con la legge incostituzionale!!!! Eppure i costituzionalisti, compresi quelli democratici nulla hanno detto: un appello di Augusto Cerri contro questo scandalo ha racolto 6 adesioni.
Non conoscevo questa giurisprudenza della Cassazione, e sarebbe interessante approfondire il tema sulla rivista. Comunque anche l’autodichia, in linea di principio sacrosanta, funziona come la pelle di zigrino. Ci siamo già dimenticati che nella XIV legislatura la Camera non raggiunse mai il plenum perchè la giunta delle elezioni non volle affrontare la questione delle “liste civetta”. D’altronde le convenzioni costituzionali presumono soggetti politici responsabili, merce rara nella seconda Repubblica. Presumono anche il rispetto delle procedure. E non si era mai visto portare in piazza, e addirittura porre a condizione per la formazione di una maggioranza, come ha fatto Grillo, l’interpretazione di una norma.
Quello che ricordi Covatta è un fatto gravissimo (Camera senza plenum per rifiuto di applicare la legge elettorale) che avrebbe comportato un intervento fermissimo del presidente della Repubblica Ciampi, al limite minacciando lo scioglimento della Camera. Purtroppo Ciampi, ad onta della buona stampa di cui ha goduto, è stato un pessimo presidente della Repubblica. Ad, esempio, intervenne sull’inerzia di oltre un anno nella elezione di tre giudici costituzionali soltanto dopo un estremo sciopero della fame di Pannella. Anche questo un caso di scuola di possibile scioglimento.
Per non parlare poi di alcune leggi passategli sotto il naso del tutto incostituzionali come il porcellum, il voto per posta degli italiani all’estero o assurde come il cambiamento della fattispecie del reato di “attentato alla Costituzione” limitato ai soli atti violenti. Ma forse in quest’ultimo caso si è trattato di un riflesso difensivo…..