Lawrence Henry Summers, politico, economista e accademico statunitense (e nipote dei celebri economisti Paul Samuelson e Kenneth Arrow), e Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008 e molto conosciuto dal pubblico italiano, sono del parere che l’età dell’espansione continua sia finita: molte le cause, le principali delle quali sono da un lato le disuguaglianze distributive e le innovazioni tecnologiche, che creano una crescente disoccupazione, e dall’altro la perdita di ogni influenza dell’invenzione di nuovi prodotti sul livello dell’attività produttiva dei sistemi economici.
Da tempo i due economisti, con un riferimento particolare all’economia americana, sostengono che il lungo processo di crescita e sviluppo che ha caratterizzato i due secoli e mezzo successivi alla Rivoluzione industriale si sia esaurito, per cui la prospettiva è il ritorno alla crescita zero proprio della storia precedente la grande Rivoluzione economica, o tutt’al più la predisposizione di quanto è necessario per consentire alle singole società civili di convivere con una situazione di “stagnazione secolare”.
Il punto di partenza della tesi dei due economisti è l’osservazione che la crisi nella quale i paesi industrializzati sono caduti a partire dal 2007/2008 sia di difficile superamento, sebbene si debba riconoscere che i motivi che l’hanno provocata sono antecedenti alla crisi dei subprime ed erano contenuti, nascosti o rinviati dall’attività dei mercati finanziari attraverso la gestione delle “bolle” speculative e la produzione di “titoli spazzatura”.
Le difficoltà che i paesi industrializzati trovano nel superare la crisi in atto sono innanzitutto determinate da una sorta di trappola della liquidità, scattata dopo che il tasso d’interesse che poteva mettere in equilibrio il volume degli investimenti con quello del risparmio disponibile presso le banche si è abbassato in via permanente, al punto che per creare la convenienza ad investire dovrebbe essere corrisposto un premio, mentre i risparmiatori dovrebbero pagare le banche per il servizio di custodia delle loro risorse conferite a deposito: una situazione, questa, che non può persistere a lungo.
Perché è accaduto tutto ciò? La risposta all’interrogativo, secondo Summers e Krugman, sta nel fatto che la crisi ha dato origine ad uno squilibrio di base: non si effettuano investimenti sufficienti ad assorbire gli ingenti volumi di risorse finanziarie disponibili. Questo fenomeno pare duraturo per diverse e fondate ragioni. Alla base vi sono le disuguaglianze distributive, in quanto l’eccessiva concentrazione della ricchezza prodotta nelle mani dei ricchi non concorre a finanziare a sufficienza la domanda finale di beni di consumo, lasciando solo alle bolle speculative delle banche e ai debiti contratti dai consumatori poveri la funzione di “motore” dei consumi correnti.
Il contenimento dei consumi è aggravato dalla tendenza delle popolazioni dei paesi industrializzati ad invecchiare: fatto questo che concorre a peggiorare la compressione della domanda finale, con conseguente mancanza di stimoli per le imprese ad investire. Quando queste ultime investono, lo fanno solo per aumentare la loro efficienza produttiva attraverso continui miglioramenti tecnologici, che però, determinando un incremento della disoccupazione, aggiungono un’ulteriore causa della caduta dei consumi. Le innovazioni tecnologiche, cioè, non mancano, ma non stimolano le economie in crisi a riprendere la loro crescita, e non favoriscono l’aumento dei livelli occupazionali. Può darsi che – imprevedibilmente ed inaspettatamente – un’improvvisa “innovazione di prodotto”, cioè l’immissione sul mercato di un nuovo bene di consumo, possa rompere il processo di causazione cumulativa negativa che ha determinato la crisi e l’impossibilità attuale di un suo superamento. Sino a questo momento, però, se i mercati fossero “corroborati” dalla comparsa di generazioni successive di prodotti-giocattolo (come li considerava Enrico Cuccia) nel comparto della telefonia mobile, e sin tanto che questi “prodotti effimeri” saranno considerati una possibile via di accesso ad un “mondo nuovo”, i paesi industrializzati vivranno nell’illusione di un possibile più roseo futuro.
Strana conclusione quella dei due economisti americani: formulano una diagnosi riguardo alle cause del pessimo “stato di salute” in cui versano i sistemi economici industrializzati, diagnosticandone una condizione da “ammalati terminali”. Però non suggeriscono alcuna terapia adeguata. Summers e Krugman, in conclusione, si limitano a constatare lo “stato comatoso” dei sistemi economici in crisi, senza indicare una cura utile al suo superamento che non sia il palliativo espresso dall’ottimismo che gli stessi paesi possono trarre, di fronte alla fine dell’economia, dalla speranza che l’invenzione di qualche nuovo “giocattolo” risulti capace di offrire ai sistemi moribondi la consolazione di uno stato futuro più roseo di quello del presente: che potranno raggiungere però solo dopo il viaggio verso la loro “ultima dimora”.