L’agenzia di rating Fitch ha abbassato il giudizio sull’Italia a BBB+ da A- con outlook negativo, a causa del “risultato inconcludente delle elezioni italiane”. Subito pianti greci da parte di tutto lo schieramento politico italiano, anche nel centrosinistra, che appare invero culturalmente subalterno alle esigenze della finanza globale, di cui le agenzie di rating sono le teste d’ariete. Altro che neutralità infatti, le maggiori agenzie di rating, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, sono utilizzate per minare la sovranità degli stati in materia economica e finanziaria, emettendo report a orologeria e tra i loro soci ci sono le banche d’affari e le corporations più importanti e potenti al mondo. Insomma molti i conflitti di interesse.
Ma quale dovrebbe essere il programma economico di una (vera!) sinistra riformista? Se il modello di riferimento per Grillo e il suo movimento sembra essere quello dell’ “economia decrescente”, basata sul rallentamento della crescita e su di un’eguaglianza fondata sulla povertà dei consumi per tutti, si dovrebbe pensare a un modello sociale che attualizzi le idee di due rifomisti come l’economista Federico Caffè e il leader della sinistra socialista Riccardo Lombardi, che teorizzavano “una società più ricca perché diversamente ricca”, a fronte di una situazione socio-economica in cui il 28% della popolazione italiana è a rischio povertà, con le famiglie dei pensionati in cima alla lista del disagio sociale; i consumi tornati nel 2012 ai livello del 1945; la produzione industriale scesa, nei primi dieci mesi del 2012, del 6,5% rispetto allo stesso periodo del 2011; la disoccupazione cresciuta dello 0,3% arrivando all’11,1%; più di un giovane su tre senza lavoro.
Due riformisti rigorosi Caffè e Lombardi, che per questa loro scelta hanno vissuto una personale “solitudine”, dei quali sono attuali le contestazioni al mondo bancario. Oggi come allora toccare le istituzioni creditizie è una sorta di lesa maestà. Mettere in discussione l’euro? Si rischia l’accusa di fare del terrorismo! A Francoforte siede Mario Draghi, presidente della Bce, che a suo tempo fu allievo di Caffè e con quale discusse la tesi di laurea che terminava con un J’accuse contro l’eventuale moneta unica, “che avrebbe procurato divisioni e danni alle popolazioni”. Draghi ha preso poi, un’altra strada, ma ridiscutere l’euro e con esso il modello economico sotteso, basato sul monetarismo, l’arido rigorismo, i tagli sociali, il “pensiero unico” dettato dai mercati finanziari, i cittadini trasformati in consumatori (poveri), le distanze di reddito tra una casta di privilegiati, i banchieri, i rentiers, gli alti burocrati di Stato, e il resto della società, non deve apparire un’eresia, proprio se si vuol creare una società più giusta, appunto, come scrive un allievo di Caffè, l’autorevole economista Bruno Amoroso, nell’efficace saggio: “L’Europa oltre l’euro” (2012), edito da Castelvecchi.
Lombardi e Caffé, con la loro matrice socialista liberale e azionista, erano dalla parte della povera gente, delle persone, dell’umanità e non dei “mercati finanziari”, per i due “la moneta” era solo un mezzo, un collegamento nei rapporti tra le persone i cui bisogni materiali ed immateriali venivano prima, molto prima, delle aspettative e dell’esigenze dell’odierna finanza globale. La sinistra, o meglio ciò che residua di essa, sarà in grado di ricordarne l’insegnamento oppure, prendendo a prestito un bel libro edito da Bur-Rizzoli (2013) del giornalista Piero Sansonetti, già direttore de “L’Unità” e “Liberazione”, “La sinistra è di destra”?
Concordo con quello che scrive Ballistreri sulle agenzie di rating, su cui ho scritto qualcosa nell’ultimo anno, e anche il richiamo a Caffè e a Lombardi sul “diversamente ricca”. Invece dissento dall’alternativa euro si/euro no, e non perché sarebbe lesa maestà. La questione è tutt’altra, perché la finanza globale e la City di Londra sono casomai all’attacco, non alleate, dell’euro, che è sì ancora moneta forte e rispettata ma ha il suo enorme tallone d’Achille nella fragilissima Unione europea. Se c’è qualcuno che ha vissuto nel vecchio mondo e ha avuto la fortuna di parlare nel nuovo sempre da riformista, è Helmut Schmidt, uno dei pochissimi statisti rimasti sulla piazza europea: ha scritto cose fondamentali sulla necessità che l’UE stabilisca regole e limiti sui derivati le banche e la finanza globale. Inascoltato, naturalmente.