Può capitare a tutti di avere una sensazione o un cambiamento di umore o di vivere un’emozione senza riuscire a dare un nome o una definizione compiuta a tali stati d’animo. Ecco; per certi versi ciò può rappresentare una metafora di quel che accade a sinistra del Pd. Da anni aleggia nel panorama politico italiano la “sinistra arcobaleno”, senza che riesca però a darsi un volto e un’identità precisa.
A parer mio alla base di certe rigidità e di certe prese di posizione di quest’area politico-culturale vi è un equivoco di fondo: attribuire a qualcuno – oggi al premier Matteo Renzi – la causa della crisi della sinistra tradizionale e dello “spostamento a destra” della principale forza del centrosinistra. Come se le ricette dell’attuale esecutivo, ad esempio, non fossero piuttosto un tentativo di rispondere efficacemente a difficoltà e mutamenti radicali che sono nei fatti, ispirandosi proprio ai principi di libertà e di giustizia della sinistra. O come se il Pd guidato da Renzi non avesse ereditato problemi e incertezze, anche organizzative, che risalgono addirittura ai “partiti di massa” degli ultimi lustri della prima Repubblica.
Non a caso il fenomeno del “partito degli eletti” tende a riprodursi pure nelle piccole formazioni che a parole lo contestano (eloquente è stata al riguardo la vicenda della lista “Tsipras” alle ultime elezioni europee). Si tratta di questioni culturali di fondo non risolvibili con una scissione o con una polemica estemporanea: da affrontare piuttosto con un lavoro di lettura della società, di interpretazione delle dinamiche locali e globali e di elaborazione di lunga lena. Senza dimenticare neppure per un istante di prendere in considerazione le sinistre, al plurale, portatrici di una varietà di sensibilità e di spinte: dire “la sinistra sono io” è un errore, chiunque lo commetta.