Anni fa, mentre provavo a descrivere il vuoto lasciato dal “grande Psi”, un amico giornalista col quale stavo conversando mi venne in aiuto con un’immagine illuminante: è come visitare una mostra di opere d’arte e accorgersi che manca un quadro importante, disse.
Ecco, proporrei per un istante una specie di esercizio mentale: mettiamo fra parentesi i consueti discorsi, pur fondamentali, sulla “questione socialista” e sull’anomalia italiana, e proiettiamoci indietro nei decenni, al tempo della prima Repubblica. Immaginiamo di essere dei cittadini animati da spirito laico (soprattutto nel senso di antidogmatico), da un’innata curiosità e dal gusto per il dubbio e la ricerca. Alcuni di noi voterebbero magari per la Dc (forse “turandosi il naso”), altri per il Pci (“nonostante tutto”) e così via. Ciascuno, però, sarebbe consapevole dell’esistenza di una sorta di prodigio politico e della possibilità di affidargli il consenso o di sostenerlo ancor più attivamente: il Psi, appunto, un partito in grado di incidere senza essere espressione delle culture dominanti, una forza organizzata e radicata nella società e “sul territorio” senza rappresentare una “chiesa”. Un soggetto, insomma, tale da riuscire a coniugare “voto utile” e senso critico.
E se consistesse anche in ciò la suggestione, ora più viva ora sopita, ma mai scomparsa, della “terza forza”?
Tutto ciò mi torna in mente in questi giorni ascoltando nei tg qualche frase di Emma Bonino: una voce libera e diversa da quelle prevalenti, portatrice di riflessioni intelligenti e di idee sensate. Già, si tratta però, ahimè, di una voce, non di un coro.
I margini per presenze altre (e significative) rispetto alle maggiori sono davvero ristretti: eppure è il caso di accrescere gli sforzi volti a un’adeguata elaborazione politico-culturale e soprattutto a una più stretta condivisione dei suoi frutti.