Quando Forattini disegnava Craxi in camicia nera era di moda denunciare la “deriva autoritaria” del leader del Psi. Fu allora, nel 1991, che Alberto Benzoni pubblicò un pamphlet che prima o poi ristamperemo, e che si intitolava “Il craxismo”. Al capitolo “mutazione genetica”, che anche allora andava per la maggiore, e veniva documentata fra l’altro con il metodo topdown con cui egli aveva rinnovato la rappresentanza parlamentare del Psi, Benzoni obiettava che “non c’è stata, nel partito, un’invasione di alieni”, e che “il non indifferente rinnovamento” rispondeva, “più che a pressioni strumentali dall’esterno di questo o quel gruppo di pressione”, a “scelte ‘qualitative’ dello stesso Craxi (scelte per lo più assai felici, da Giugni ad Arduino Agnelli, da Amato a Boniver, da Forte a Intini, da Ruberti a Carniti)”.
Erano i “nominati” di allora: non moltissimi, perché anche Craxi doveva fare i conti coi “signori delle preferenze” (quando non doveva farlo, come nella formazione del governo, era più meritocratico): ma abbastanza da portare competenze eccellenti in Parlamento. I comunisti, più disciplinati, provvedevano invece con gli “indipendenti di sinistra” (più “nominati di loro è difficile immaginare). E perfino De Mita, alla fine, nominò i suoi “esterni”, fra i quali spiccavano Scoppola, Del Noce e Ruffilli.
Poi vennero i “nominati” della seconda Repubblica. Nel 1994 Berlusconi “nominò” addirittura un intero partito (i “riciclati” dei vecchi partiti arrivarono dopo, nel 1996). Ma anche gli altri “nominarono” a man salva. Del resto era la stessa legge elettorale ad esigerlo: esplicitamente, con le liste bloccate per l’assegnazione dei seggi (il 25%) riservati allo scrutinio proporzionale; implicitamente, per la lottizzazione delle candidature nei collegi uninominali fra i numerosi soci delle coalizioni in lizza. Per cui la legge Calderoli, in fondo, non ha fatto altro che razionalizzare l’esistente.
Eppure mai, dai tempi di Depretis, tanti parlamentari hanno cambiato gruppo come nelle ultime sei legislature: nella XII per assicurare fin dall’inizio la maggioranza al Senato al governo Berlusconi (ed un ministro del Tesoro, Tremonti, ai suoi governi successivi); nella XIII per portare il primo comunista a palazzo Chigi; nella XIV per consentire la formazione di nuovi gruppi parlamentari in corso d’opera; nella XV per dissolvere la maggioranza schiacciante del Pdl; nella XVI per mettere fine al secondo governo Prodi. Per non parlare della legislatura in corso, inaugurata dai 101 “nominati” che hanno provocato la rielezione di Napolitano al Quirinale.
Insomma, ci sono nominati e nominati. Il problema, alla fine, è chi li nomina.
Più il tempo passa e gira e rigira, lo spessore di “Bettino” emerge sempre più.
Caro Direttore,
sarebbe però opportuno ricorrere a personalità di dichiarate capacità politiche, evitare per esempio di nominare chi di fronte ad un dibattito parlamentare riprovevole si rivolge alla magistratura ordinaria, un ignorante della natura del Parlamento.