Lettera aperta a Gigi Covatta, Mondoperaio
Caro Gigi, ricorderai che alcuni mesi fa ti mandai una lettera in cui esprimevo profonde preoccupazioni per la situazione anomala e pericolosa che, secondo me, si era venuta creando con un governo che dipendeva da un parlamento che non rappresentava già più il paese, e che avevo nella lettera assimilato alla vicenda inglese dei borghi putridi. Concludevo domandandomi se superata la prima fase di lotta allo spread non fosse stato meglio passare subito alle elezioni per evitare un incancrenimento della situazione e voltare pagina. L’incancrenimento c’è stato e forse peggio di quel che si temeva, ma noi continuiamo a vivere sotto il ricatto del “rischio” di elezioni anticipate; ma dobbiamo chiederci: sono davvero le elezioni peggiori della situazione attuale?
Mario Monti ha fatto quello per cui era stato chiamato e cioè ristabilire, grazie alle sue doti e alle sue conoscenze personali, il minimo di credibilità necessaria perché l’Italia non affondasse nel baratro scavato da Berlusconi. Il premier Mario Monti invece non ha, affatto, dato buona prova di sè. E non credo in questo di dire nulla di eccessivamente negativo, credo che questo giudizio sia ampiamente condiviso, anche da parte di chi stima Monti. I risultati del resto sono sotto gli occhi di tutti. Nessuna o quasi, delle grandi riforme promesse , salvo forse quella delle pensioni fatta sullo spunto, che però si sta trascinando dietro l’immane (e se posso dire immondo) problema degli esodati. Per il resto è stato tutto uno stop and go con più marce indietro che progressi.
Non è colpa di Monti, ma della situazione. Superato l’iniziale intoppo linguistico (voluto) sull’ossimoro del “governo tecnico” e chiarito che tutti i governi non possono che essere politici (sia che siano eletti o nominati) ci si è adagiati sul “governo dei tecnici” assumendo che la competenza specifica di ciascun ministro fosse sufficiente a garantire la soluzione ottimale ai problemi del settore.
Ma in primo luogo non tutti i ministri sono poi risultati veramente competenti del settore di riferimento del proprio ministero. Inutile fare nomi, casi più clamorosi sono noti, e poi la competenza del singolo non basta, l’azione di governo è collettiva, per definizione, si dovrebbe aggiungere. Questo è stato ed è un governo di tecnici assortiti e per definizione non può portare avanti una qualsiasi politica benefica perché, come si è visto, deve dipendere da forse eterogenee.
Ma la perversione più grande si è creata nel rapporto tra il parlamento e il governo, con una sorta di deresponsabilizzazione reciproca. I partiti in parlamento, soprattutto quelli responsabili del disastro berlusconiano, trovano comodo scaricare le rogne sul governo mentre Monti può sempre dire che è paralizzato da un parlamento con decine di rappresentanti di borghi putridi, cioè che non rappresentano nessuno e sono disposti a vendersi al miglior offerente. A questo gioco riesce bene il più cialtrone e sappiamo tutti chi è. E finora ha portato a casa, soprattutto il rinvio delle elezioni, nella speranza che il suo esercito si possa riorganizzare. Ma anche se mi pare una impresa disperata, di danni ne può ancora fare, come si è visto con la questione Mondadori.
A questo punto non capisco più molto bene Napolitano che già mi aveva lasciato molti dubbi con la faccenda Mancino. Se l’arma del ricatto di Berlusconi è semplicemente quella di far cadere Monti, gli si dica si accomodi, prima si chiude questo parlamento, secondo me, meglio è. Berlusconi è certamente finito, ma attenzione: in cauda venenum. Andiamo alle urne al più presto!
Condivido molte delle osservazioni di Martinotti, in particolare quelle relative allo scaricabarile in corso fra governo e Parlamento, che ha già castrato parecchie riforme. Ne aggiungerei di analoghe per quanto riguarda le burocrazie, alle quali imputerei il caso esodati, ma anche il sabotaggio del “decreto sviluppo” e dei memorandum di Giavazzi e di Bondi. Senza dire della modestia di molti ministri (Martinotti non deve convincere me sul primato della politica), a cominciare da quelli che hanno fatto carriera nel mondo finanziario, e che non perdono occasione per esternare più opinioni che fatti.
Non condivido, invece, la critica della “agenda Monti”. Senza una spending review ancora più ambiziosa di quella preparata da Giarda non solo non ci si salva dal crack finanziario, ma si perde l’occasione per uscire dalla gabbia delle corporazioni e disboscare la giungla del Welfare all’italiana ristabilendo criteri di equità. E comunque resto in attesa di agende alternative, senza le quali nessuna politica sarà più legittimata.
Napolitano ha ormai risposto al grido di dolore di Guido, fissando le elezioni a marzo. E non merita critiche per come ha interrpretato il suo ruolo in un contesto in cui – non solo per colpa di Berlusconi, ma anche per colpa del trattato di Maastricht e dei suoi derivati – si è trovato ad essere l’unico titolare di una qualche sovranità nazionale residua.
Tra l’altro sarà così anche per il suo successore: questione su cui davvero vale la pena di apassionarsi, sia riguardo alla sua elezione da parte del nuovo Parlamento che riguardo alle revisioni costituzionali eventualmente necessarie.
Quanto al “caso Mancino”, è un caso che non esiste: mentre esiste, e come, il dovere di difendere il primato della politica anche rispetto a quei “tecnici” che sono i pubblici ministeri.
Se non si è votato subito è per la ragione che una terza elezione col porcellum dopo quelle del 2006 e del 2008 avrebbero delegittimato del tutto il Parlamento; per il momento sono delegittimati i parlamentari e i partiti che li hanno nominati. Per questa ragione la Presidenza del Consiglio Monti, da cui dipende l’avvocatura dello Stato e la ministra degli interni, Cancellieri, si sono adoperati affinché la Corte di Appello di Milano non rinviasse alla Corte Costituzionale la legge elettorale vigente malgrado i sospetti avanzati dalla Consulta fin dal 2008(sentenze nn 15 e 16) e riconfermati con la sentenza 13 del 20l1. Complice la stampa e la televisione e nell’indifferenza della grandissima maggioranza dei costituzionalisti, anche quelli democratici e di sinistra, si è stabilito che una maggioranza parlamentare può adottare, complice il Presidente della Repubblica, una legge elettorale incostituzionale, senza che ci sia la possibilità di andare davanti ad un giudice prima dello svolgimento delle elezioni. Il tutto basato su un accordo tra magistratura e Parlamento che i proclamati eletti non debbano essere toccati: obiettivo facile dal momento che i giudici sono i colleghi e le riunioni delle Giunte delle elezioni sono segretate. Non si può sapere nemmeno chi sia presente, a parte il presidente di seduta, né come votano. Silenzio da parte di chi attacca la casta tutti i giorni, ma che può farlo senza attaccare anche la magistratura e i guru del costituzionalismo democratico e progressista. Tutto sommato si può attaccare più facilmente Napolitano, sia pure incorrendo nelle sue ire. Non solo la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non copre i diritti politici, ma solo quelli umani e civili. E si continua stare zitti. Non un emendamento su 220 presentati da tutte le forze politiche da destra a sinistra sì è preoccupato di introdurre un controllo giurisdizionale sulle operazioni elettorali praparatorie, affincè fosse tecnicamente possibile invocare la Corte costituzionale prima del voto.
Andare a votare con questa legge è la morte della democrazia, non andare a votare è la sua agonia: un’alternativa diabolica. Non facciamola facile quando in troppi sono stati complici silenziosi della violazione di diritti costituzionali tra i quali vi è sicuramente quello di votare in modo conforme a costituzione.
Alle urne ci andremo. Ma, considerato che il governo Monti non è un governo tecnico, ma è comunque un governo democratico, perchè, alla fine, è il Parlamento che decide, e nel Parlamento ci sono i partiti che hanno frenato e frenano fino all’ultimo sulle riforme da fare (a partire da quella decisiva del sistema elettorale!), resta che con i chiari di luna che si intravedono dopo sarà anche peggio (stante l’attuale legge elettorale e nell’ipotesi che vincano Bersani-Vendola). Le elezioni si devono fare, ma non risolveranno nessun problema, ci consegneranno un’Italia ancor meno governabile.
Napolitano ha fatto tutto quello che poteva fare. Dobbiamo solo essere grati a lui che ha tirato fuori le unghie (chi lo ha frequentato, sa che non è mai stato coraggiosissimo), ma se i partiti sono sulla via del suicidio, lui non ci può fare nulla. Siamo fermi sull’orlo, non abbiamo ancora iniziato a tornare indietro dall’abisso. Sì, le elezioni ci saranno, marzo o aprile, uscirà un parlamento diverso (con il Porcellum?!), e poi?…
Condivido la lettera di Martinotti nella parte in cui osserva che nel governo Monti si è avuta una totale deresponsabilizzazione del governo e del parlamento. La imputerei però a diversi fattori, fra cui l’equivoco iniziale di un governo nato ufficialmente “solo” per rispondere all’emergenza finanziaria, quasi che per il resto potesse vivere in una campana di vetro. L’equivoco è consistito nel credere o nel far credere che le risposte all’emergenza non comprendessero necessariamente moltissimi altri problemi, dalla crisi della giustizia (in questo caso soprattutto civile) alla corruzione politica: temi, è ovvio, politicamente scottanti, su cui il governo non poteva non fare proposte che poi o non sono passate, o che era quasi meglio che non passassero. Vorrei poi ricordare altri due fattori di cui si parla poco, o che vengono presentati in modo diverso da come a mio avviso meriterebbero. Il primo è che questa crisi si differenzia da quella di venti anni fa perché coinvolge non solo il sistema politico ma soprattutto la società civile: sulla lotta all’evasione il governo Monti ha avuto un appoggio maggiore che sulla lotta alla corruzione, ma è un fatto che tutte e due coinvolgono larghissime fasce sociali. Che succede quando giungono a scadenza questioni molto risalenti come queste, che hanno a che vedere con comportamenti sociali diffusi, e che espongono il Paese a crescenti critiche (magari interessate ma comunque giustificate) e soprattutto alle incursioni di una finanza globale rapace? Può un governo in poco tempo invertire tendenze tanto radicate? Non può. (‘Reality’ di Garrone è più istruttivo di tanti libri per capire l’universo sociale di tanti, al di là dello stesso protagonista). Un governo può al massimo fissare obiettivi di ripristino dell’interesse generale e cominciare lentamente (con le amministrazioni che abbiamo) ad attuarli. Il secondo fattore riguarda l’ulteriore crescita di centri di potere interni ai meccanismi decisionali, che non sono né politici né ‘tecnici’ (nel senso del mondo economico dei Monti e dei Passera). Parlo della Ragioneria e del Consiglio di Stato, che, ciascuno nel proprio ambito, hanno continuato a guadagnare un potere interdittivo o di condizionamento straordinario rispetto agli stessi Ministri. Per es., basta leggere con un po’ di attenzione i giornali per capire che tutto il capitolo della crescita è nelle mani della Ragioneria. E quanto al Consiglio di Stato, l’elenco degli esempi sarebbe talmente lungo da non sopportare lo spazio di un blog.
Esistevano alternative al govrno Monti? Direi porio di no. Il solo risultato importante, non di poco valore, è stato quello di aver capovolto l’immagine del nostro paese sullo scacchiere internazionale.
Credo che le osservazioni di Martinotti siano importanti perché ci offrono un’opportunità per chiarirci le idee sulla prospettiva di medio periodo di questo sciagurato paese e delle sue istituzioni politiche. Cominciamo dal primo punto, le elezioni. A me pare che la questione non sia così cruciale come sostiene Martinotti. Non tanto perché non condivida il suo giudizio e i principi che lo ispirano, ma perché sono convinto che l’esperienza del governo Monti si stia avviando comunque al termine. A questo punto mi pare chiaro che si voterà piuttosto presto, e non credo che qualche settimana in più o in meno faccia una grande differenza. Molto più urgente mi sembra riflettere sulle prospettive in vista delle elezioni e di ciò che avverrà dopo. Credo che l’esito più verosimile delle primarie sia che Bersani vince, ma Renzi non perde. Questo vuol dire che probabilmente il confronto tra le due linee si sposterà all’interno del partito e nella composizione di un futuro governo in cui i progressisti dovrebbero verosimilmente avere un ruolo di primo piano. La mia idea è che Bersani e Renzi non dovrebbero inaugurare una nuova versione della contrapposizione tra Veltroni e D’Alema, ma operare insieme per un partito che sappia trovare una sintesi di principio, e non semplicemente pragmatica, tra le posizioni di ciascuno. questo vuol dire lavorare seriamente sui programmi, ma anche chiarirsi un po’ le idee. Un partito della sinistra riformista non può avere come unica prospettiva la crescita, ma deve anche farsi carico di dare una risposta a questioni di natura distributiva. Spiagando perché le soluzioni che propone siano preferibili a quelle delle altre forze politiche. L’efficienza non basta, ci vuole anche l’equità. L’altra questione interessante mi sembra quella della guida del governo. Io condivido in pieno l’insoddisfazione di Martinotti nei confronti del governo Monti. Aggiungo che credo che questo governo ha mostrato in concreto di attribuire un ruolo soltanto residuale all’equità. Cosa che un socialista, o un liberale di sinistra, non dovrebbero a mio avviso condonare facilmente. Quindi mi pare che si dovrebbe anche ragionare del ruolo futuro di Monti.