Si discute molto di alcune analogie fra Bettino Craxi e Matteo Renzi rispetto all’esigenza di “decidere”. Proporrei però di soffermarci per un istante su un altro punto: la guida del governo da parte del leader socialista coincideva, in Occidente, con gli anni del “riflusso” rispetto all’egemonia culturale della sinistra nel decennio precedente. Analogamente, l’attuale inquilino di Palazzo Chigi guida l’esecutivo e consegue notevoli risultati elettorali grazie anche al consenso dei “moderati”.
In realtà Craxi e l’esperienza del “socialismo mediterraneo” provavano a reinterpretare alcune categorie di base della politica, quali ad esempio il merito e le stesse esigenze del mercato, inscrivendole nel quadro della sinistra. Per non dire delle elaborazioni sul socialismo umanitario e non marxista (la figura di Giuseppe Garibaldi divenne forse l’icona di quel tentativo).
Anche Renzi prova a dire che certi principi (in primis, per l’appunto, il merito) sono “di sinistra”, ma non va oltre l’enunciazione, condizionato probabilmente pure dall’atmosfera post-ideologica che lo avvolge.
Il leader del garofano, poi, aveva dalla sua la crescita dell’influenza dei ceti medi e del terziario. L’ex sindaco di Firenze, invece, come nota l’editoriale del numero di marzo di mondoperaio, al momento non riesce a far leva su una vera e propria “coalizione sociale”.
Craxi diede una spallata non solo all’egemonia di una certa sinistra, ma forse all’idea stessa di egemonia: all’egemonia dell’egemonia, sarei tentato di dire. A Renzi, a dispetto del consenso di cui gode, tale operazione sembra riuscire di meno. Paradossalmente, pur nella società dell’individualizzazione, se provassimo oggi a chiedere a un liceale, ad esempio, se “l’assemblea” sia “di destra” o “di sinistra”, con ogni probabilità egli indicherebbe la seconda risposta.
Ѐ vero: oggi la sinistra, nella società, è assai più debole di qualche decennio fa. Ciononostante credo che il segretario del Pd sbaglierebbe se pensasse di eludere il confronto culturale a sinistra.