Quando il Pds venne ammesso nell’Internazionale socialista, l’Unità diretta da Veltroni mise la notizia in settima pagina. Adesso, almeno, l’intervista di Fassino sull’adesione del Pd al Pse ha un richiamo in prima. Allora, però, la stampa indipendente fu più attenta di quella di partito ad un evento che qualcuno definì storico. Ora solo Repubblica dedica un articolo all’ingresso dei democratici nel Partito del socialismo europeo (e soprattutto per raccontare i mal di pancia di quelli che non volevano “morire socialisti”).
Probabilmente il giornalista collettivo è ancora affezionato alla “felice anomalia italiana” magnificata fin dai tempi di Berlinguer e del compromesso storico; e d’altronde non ha ancora elaborato le categorie capaci di spiegare come mai a fare il passo non siano stati i postcomunisti, ma un segretario di estrazione democristiana.
Ovviamente i motivi che hanno indotto Renzi a fare quello che non avevano fatto Veltroni e Bersani sono molti, e si fondano innanzitutto sul realismo politico. Può darsi, però, che ci sia anche qualche motivo ideale: per esempio il suo richiamo a don Primo Mazzolari, che quando gli venne imposto dalla Curia di ritirare la firma da Adesso lasciò ad Antonio Greppi la direzione del quindicinale.
Del resto non mancano, nella nostra storia recente, cattolici che non hanno avuto paura di “morire socialisti”, a cominciare dallo stesso sindaco di Milano liberata, e compresi, purtroppo, Walter Tobagi e Marco Biagi.
Anche questa un’anomalia italiana? Forse no, e non solo perchè in Europa da tempo nel crogiolo del movimento socialista vengono fusi anche materiali cristiano-sociali: anche perchè sono almeno cinquant’anni che il riformismo italiano si fonda sull’incontro fra cattolici e socialisti, in perenne attesa di un Godot, prima comunista e poi postcomunista.