E’ la parola d’ordine del momento. La lanciano a piena voce non solo Grillo, Di Pietro e Renzi, cosa comprensibile. La ripropone Bersani, cosa forse meno comprensibile. La fa propria Mieli; che le conferisce il dovuto crisma intellettuale. La cavalcherebbe, sicuramente, anche il Cavaliere, se fosse in grado di cavalcare qualcosa.
Ma con quale obbiettivo? Razionalizzare il sistema istituzionale? Assicurarsi che il lavoro delle Camere sia più produttivo?  Migliorare la qualità dei parlamentari e la loro dedizione agli interessi del paese? Contribuire al riequilibrio della finanza pubblica e, perciò, alla riduzione dello spread?
A lume di naso, il dimezzamento dei parlamentari non contribuirebbe al raggiungimento di nessuno di questi meritori obbiettivi; tant’è che nessuno dei suoi corifei  vi fa minimamente cenno.
E allora? E allora quello che si vuole è un gesto. Di autodenuncia; di contrizione; insomma la candidatura spontanea al ruolo di capro espiatorio. Una dichiarazione più o meno di questo tipo: “è vero. Siamo 945 persone privilegiate ben oltre i loro meriti. Perché lavoriamo poco e male. Perché siamo “nominate” e, quindi, agli ordini di questo o di quello. Perché pensiamo a noi stessi anziché al bene del paese. Vorremmo promettervi di migliorare: Ma sappiamo che le nostre promesse non sarebbero credute. Perciò, ad ammenda delle nostre colpe, accettiamo la punizione del dimezzamento dei nostri ranghi”.
Secondo il giulivo sindaco di Firenze, basterebbe questo a sconfiggere l’antipolitica e le sue contestazioni.
Secondo il sottoscritto, basterebbe questo a renderle irresistibili. Insomma, se il Parlamento non serve, per voce di popolo e per sua stessa ammissione, perché non abolirlo del tutto, per manifesta inutilità?