Devo rendere merito alla mia portinaia, un’amabile vecchietta alcolizzata con forti difficoltà cognitive dovute a un suo lavoro giovanile (cavia in esperimenti farmaceutici), per avermi illustrato il suo punto di vista sulla stepciaildadopscion. Dato che il sabato non lavora e che a casa non la fanno più bere, il 30 gennaio è andata al Family Day al Circo Massimo. L’occasione le è stata utile per rafforzare la sua contrarietà all’adozione del figliastro per le coppie omogenitoriali. Queste le sue tesi:
- Avere un figlio non è un diritto, ma un dono di Dio. La cosa è in contrasto con l’ordinamento giuridico, ma Dio non ha di questi problemi.
- I figli non sono “prodotti” o “giocattoli”. Probabilmente si stupirebbe sapendo che anche gli omosessuali sarebbero d’accordo. Bisognerebbe citare Heidegger e la tecnica per dirimere questo punto, ma lei di Heidegger ha letto solo alcune pagine di In cammino verso il linguaggio, quindi non se la sentiva di parlarne.
- La stragrande maggioranza degli italiani è contraria. Ovviamente non ho sollevato questioni di merito sul campione intervistato, sul fatto che non era un sondaggio informato, che gli italiani sono noti analfabeti e retrogradi, ecc. Ma anche lei non si sentiva molto in vena di parlarne, perché ha lasciato la facoltà di Statistica dopo un paio d’anni, senza conseguire il titolo.
- Con la stepciaildadopscion si apre all’utero in affitto. Qui avrei voluto obiettare che l’utero in affitto esiste e che, anche fatto all’estero, non è reato in Italia ciò che faccio in un paese estero dove la stessa condotta non costituisce reato: se affitto un utero in un paese dove non è reato non sono perseguibile in Italia, in sostanza. Ma il suo amore per il diritto si riduce ad alcuni dotti articoli sul danno tanatologico, quindi anche su questo non abbiamo molto parlato.
- Infine, mi ha detto, legittimare questa pratica significa solo cedere alle pressioni di lobby sovranazionali come quella “omosessualista”. Alla parola “omosessualista” non ho retto e le ho detto che una simile posizione è come quella dei complottisti che credono alla P2, ai rettiliani e compagnia bella. A quel punto ha espresso una complicata argomentazione sulla continenza logica dell’abduzione in simili casi. Ma io non sono troppo esperto di teologia, quindi non ho ribattuto.
È evidente che il dialogo è la cosa più importante quando ci sono in ballo questioni così importanti. Basta sapere con chi dialogare.
vecchia sono vecchia, qualche danno cognitivo probabilmente lo manifesto magari a mia insaputa, bere no, non me lo concedo, sarà per questo che trovo disdicevole, di sicuro inutile, trattare in questo modo un tema così delicato. Non saranno sufficienti sarcasmi, culturame esibito e, purtroppo, nemmeno legislazioni progressiste a negare la complessità che ci si sta aprendo davanti. Bambini, e più tardi adulti, con percorsi indentitari privi di riferimenti consolidati, corpi di donne rigettati nell’uso e nell’abuso,genitori con compiti privi di cornici e di strumenti di riferimento, contenitori sociali ed educativi già incapaci a fare fronte a compiti meno gravosi sul piano culturale e degli strumenti. La tecnica corre con i suoi tempi, la psiche umana, non solo la mia, ha i suoi limiti naturali. C’è poco da ridere, rimbocchiamoci le maniche perché non sarà una passeggiata
Il panorama da lei proposto, è un po’ eccessivo e caricaturale. A proposito di culturame esibito, cinquemila anni fa l’uomo si dotò della scrittura e questo cambiò radicalmente non solo il suo mondo sociale, ma la sua mente. Ci furono pareri contrari all’introduzione della scrittura (uno per tutti, il Socrate che racconta di Theuth), ma per fortuna non sono stati ascoltati: mi rendo conto che è difficile per i cattolici materialisti che riducono la genitorialità alla copula, ma ogni tanto bisogna avere fede in Dio e nel suo imperscrutabile agire. Inutile brandire la natura come una clava.
Se lei ritiene che si debba seriamente rispondere ai pittoreschi oratori del Family Day, è un suo problema: per discussioni serie bisogna dilogare con persone serie, come per esempio Mauro Magatti, tanto per nominarne uno, non con Formigoni. Comunque, per un sviluppo più sostanziale del tema, le consiglio l’articolo “Risse non negoziabili” sul numero di ottobre 2014 di Mondoperaio.
Nodo alla gola…
Non credo che Nenni avesse in mente interventi così infusi di spacconeria classista, pretesa superiorità culturale-antropologica e pedanteria borghesotta quando chiamò la sua rivista “Mondoperaio”. Scritti come questo dimostrano come il pensiero socialista, allorché ricalchi le idee e la forma mentis delle classi egemoniche, scompare.
Già, difficile dire che avesse in mente Nenni o, addirittura, cosa direbbe oggi, anche di cose più interessanti del mio piccolo scritto. Comunque, malgrado la gentile attenzione di cui fa oggetto lo stile del pezzo qui sopra, ha totalmente mancato il punto: è davvero lecita l’idea di dialogare con tutti, anche laddove palesemente infruttuoso? Proporrò un po’ di superiorità cultural-antropologico-gastronomica anche a lei, sempre attingendo dall’antichità: lo sforzo di distinguere il filosofo dal sofista è definito “diairesis” da Platone. Scremare gli interlocutori è una necessità pratica del discorso, con cui già oggi la democrazia si trova a dover fare i conti. Se trattassimo i sofismi come tali, avremmo un sacco di tempo per discutere d’altro.
Se non legge ancora Mondoperaio, cominci.
E, a proposito, iniziare qualcosa appellandosi apotropaicamente a entità sovraindividuali (i padri nobili, la patria, i valori, il senso comune, il “cosa diranno gli altri” ecc.) non funziona mai.
Per Nenni, caro Claudio, anche il divorzio era “un lusso borghese”, ed il suo sostegno alla legge Fortuna fu all’inizio assai tiepido. Ma quando poi, nel 1974, la Dc perse il referendum, si rammaricò di non avere più settant’anni (sic!) per mettersi alla testa della nuova Italia che emergeva dalle urne.In realtà per Nenni e per la sua generazione l’intreccio fra diritti individuali ed evoluzione politica era assai stretto, com’era ovvio per chi aveva potuto sperimentare anche le conseguenze criminali della politica assoluta in Germania, in Russia ed anche in Italia: e d’altra parte coltivava ancora la fede in un lineare progresso.
Ora il “progresso” non è più tanto lineare, e quell’intreccio si è dissolto: per cui il treno dei diritti individuali viaggia su un binario diverso da quello della politica, come ho già avuto modo di rilevare anche in questa sede. Non a caso, del resto, nella nostra vita civile si moltiplicano le aporie, come sa benissimo Antonio Romano, che proprio ad esse intitola la rubrica che tiene nell’edizione cartacea della rivista.
Consiglio a tutti, comunque, di leggere il saggio che recentemente Remo Bodei ha pubblicato per il Mulino (“Limite”): può aiutare a riflettere su temi come questi che la generazione di Nenni non poteva neanche immaginare.