Molti sono rimasti sorpresi dalla straordinaria velocità con cui Stefano Rodotà è passato da riserva della Repubblica a “ottuagenario miracolato dalla rete”. Non hanno capito, le brillanti firme che pure si sono spese in appelli alla coerenza, che dietro questa presunta ed insanabile contraddizione si cela, in realtà, l’essenza profonda del populismo grillista: un qualunquismo pop, fondato sulla necessità di ripristinare quell’etica futurista che consentiva negli anni ’30 a Mussolini di mutare posizione di volta in volta, districandosi fra le diverse anime del fascismo, al grido marinettiano “ieri era ieri, oggi è oggi”.
Molti, di conseguenza, non hanno lesinato battute sulla serietà del Movimento Cinque Stelle, un partito vero e proprio che – a seconda dell’umore del capo, per l’appunto – innalzava e innalza sugli scudi fantomatici eroi, salvo poi colpirli con fendenti assai violenti. Va detto, peraltro, che la storia personale di Rodotà è la storia di un uomo di sinistra, una storia che giocoforza mal si concilia con un movimento “ecumenico” pronto ad ospitare al suo interno eletti ed elettori intenti a flirtare, più o meno spudoratamente, coi ragazzi di Casa Pound.
Ma il problema, qui, è squisitamente politico. A volte le persone che supportano un’idea finiscono con incarnarla a perfezione. Per restare nell’esperienza repubblicana, Pertini rappresentò forse meglio di ogni altro esponente progressista quell’alta dirittura morale propria di una certa componente del socialismo nazionale; ancora, Craxi, a suo modo, coi toni bruschi e le tendenze autoritarie, dette manforte a quanti vedevano negli anni ’80 la promessa di una nuova stagione caratterizzata dal decisionismo centrale; Andreotti fu essenzialmente la cinica maschera di un modo di concepire la politica sulla falsariga dell’amoralità machiavellica; perfino Bossi, durante il terremoto di Mani Pulite, col suo fare straccione ebbe il merito di incarnare, financo esteticamente, un’altra e diversa identità. Oggi i Cinque Stelle possono fare riferimento non già al comico ligure, ma alla Lombardi, la pasionaria che doveva cambiare il mondo e che ha finito col cambiare parrucchiere.
Entrata in Parlamento fra i distinguo sul fascismo (“prima che degenerasse aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello Stato e la tutela della famiglia”), roba che perfino Ciarrapico si sarebbe emozionato, ha tentato successivamente di rappresentare l’ala dura e pura della rete. Contestava tutto con impertinente costanza: il presidente Napolitano, destinato alla pensione e non al ruolo di garante della Costituzione; i talk show, morti di fama; il segretario del Pd Bersani, incapace di comprendere come i Cinque Stelle non avessero l’esigenza di dialogare con la società civile perché essi stessi ne erano espressione; Berlusconi, corrotto e piduista; Renzi, innovatore fasullo; e via dicendo, in maniera equamente bipartisan. Una donna al di sopra delle righe, perennemente all’attacco, ha cercato di dipingere attorno a sé l’aura del falco. Ma il falco, si sa, vola con innata leggiadria e con istintiva esperienza. Dopo aver perso gli scontrini utili per rendicontare le proprie spese, alla faccia della grazia, la Nostra Eroina si è lanciata nell’invettiva, sostenendo come il Presidente della Repubblica dovesse uscire dalla logica gerontocratica per poter essere selezionato fra gli under-30, manco fosse il promo di una puntata di X-Factor. Insomma, tutto fuorché un’idea felice.
A questo si è ridotto il Cinque Stelle, e solo in tale prospettiva si può giustificare il calo verticale nelle elezioni amministrative: persa la forza propulsiva che derivava dall’alternativa progettuale, la voglia di essere contro il sistema si è tradotta poi nelle lotte per la diaria; il tentativo di affrancarsi dalla casta ha portato alla formazione di un esecutivo fortemente condizionato da Berlusconi; l’ostinata cocciutaggine su Rodotà ha convinto l’intero Parlamento della necessità di rinnovare la fiducia a Napolitano; perfino la battaglia contro la lottizzazione ha portato a inascoltate richieste sulla vigilanza Rai e sul Copasir. Le sconfitte sono evidenti.
Eppur malgrado questi errori le forze politiche tradizionali non ne approfittano petr cambiare. Improvvisazioni come un diverso modo di eleggere il Presidente, che è ambigua, anche se tutti l’hanno interpretatata COME ELEZIONE DIRETTA, MA TEORICAMENTE SI POTEVA ALLARGARE L’ASSEMBLEA AUMENTANDO I DELEGATI REGIONALI IN MODO DA PORTARLI ALMENO PARI AI SENATORI AD IMITAZIONE DI QUELLA TEDESCA O PREVEDENDO I SINDACI DEI CAPOLUOGHI DI REGIONE, I COMPONENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE, DEL CSM O DEL CNEL O ALTRE AMENITà DEL GENERE LASCERANNO SPAZIO A GRILLO, CHE PRENDE GLI ITALIANI PER I FONDELLI, MA IN MODO SIMPATICO ANCHE SE PIù ROZZO DELLA STAMPA DI REGIME Si stanno distuggendo le fondamenta democratiche deella Repubblica nella sostanziale indifferenza. Il valore delle istutuzioni elettive rappresentative è stao abbassato dal comportamento indegno di suoi componenti, ma in un paese maturo e non intossicato dai media comporterebbe una migliore selezione del personale politico modifiche nell’erogazione dei contributi oltre che una loro riduzione ed non la demagogia di una riduzione al di sotto dei numeri di Stati della nostra taglia