Nell’ordine alfabetico dei senatori del secolo scorso Cossutta veniva subito prima di Covatta (e fino al 1985 prima di Cossutta veniva Cossiga). Ma non è per questo che gli ero amico. E neanche perché, negli anni ’50, lui era segretario della sezione del Pci di Sesto San Giovanni mentre Craxi era segretario di quella del Psi (circostanza che ricordava con affetto quando Bettino era in disgrazia, non quando era in auge).
Gli ero amico perché era un hombre vertical, come direbbero gli spagnoli (non un uomo “tutto d’un pezzo”, come si dice nel manzonismo dei moralisti nostrani): uno che diffidava delle mezze verità, delle ipocrisie, degli strappi marginali, delle svolte che finivano in girotondo. Veniva dipinto come uno stalinista: ma quando nella federazione comunista di Milano comandavano gli stalinisti veri, e Capanna venerava in effigie il sindaco di Sesto Giuseppe Alberganti, toccò a lui battersi per candidare alla Camera quella “deviazionista” di Rossana Rossanda.
Che il comunismo avesse fallito lo sapeva. Non tollerava però che i comunisti se ne liberassero con un’alzata di spalle. E comunque tollerava ancora meno quanti, da Bertinotti a Diliberto, con l’eredità del comunismo ci giocavano. Perciò sette anni fa, quando non era ancora malato, si ritirò dalla vita politica. E perciò merita di essere ricordato.
Ciò che scrive il direttore Luigi Covatta ha ancor più valore oggi, in un tempo nel quale le parole paiono inflazionate e contano assai di più gli atti e il modo di porsi.