Mi faceva piacere parlare della maratona che ho corso domenica scorsa, di come è andata, delle impressioni,delle sensazioni provate, ma la notizia della morte di Pietro Mennea mi ha stretto il cuore, mi ha chiuso la gola, mi ha tolto la voglia di parlare di me. Stamane sono andato a trovarlo, a fargli un po’ di compagnia. A rivederlo. Era tanto tempo che non lo incontravo. Lo seguivo da lontano. Il mio amico Francesco di Footwork era il nostro punto di contatto.
Guardavo le immagini di Mennea lungo le pareti del negozio, le figure, le fotografie sparse un po’ qua un po’ là. Leggevo i libri che parlavano di Pietro o che lui stesso aveva curato. In un modo o nell’altro continuava un rapporto antico di anni. Da Formia. Dal centro nazionale di atletica leggera. Dagli anni 70/80. Durante i quali correvamo entrambi. Lui atleta nazionale, lanciato verso l’olimpo dell’atletica mondiale, io modesto atleta regionale di cross e corse su strada. Io ero a Formia a trascorrere le vacanze come ogni anno, lui a preparare gare. Io utilizzavo la pista per le ripetute di vario tipo, lui fermo nello spazio di 60/80mt.
Ma in questo breve spazio ho visto crescere il grande Mennea. Ho visto cosa significava allenare colui che avrebbe dato all’Italia la gloria, e la gioia di vedere il tricolore alzarsi nei vari stadi del mondo. Vittori, il suo grande allenatore, “seguiva” Mennea, non era il contrario. Mennea “dava” i tempi, non li subiva. Ogni giorno lo vedevo compiere i medesimi esercizi di allenamento: partenze dai blocchi, partenze dalla linea ma senza blocchi, ma sempre e comunque accompagnato da un disco dei pesi di 20 kg ed oltre dietro le spalle. Oppure trascinare un pesante sacco di sabbia. Avanti e indietro, partenza e ripartenza! E così per ore intere. Il volto segnato dalla fatica, dalla fatica dello sforzo continuo, ma sereno, determinato,quasi un extraterrestre (l’ho pensato tante volte).
Lo salutavo quasi senza parlare perchè lo percepivo per quello che era: silenzioso, timido, concentrato nel suo lavoro, distante dal mondo che lo circondava. Talvolta ritornavo il pomeriggio e lo ritrovavo di nuovo al lavoro. Così ho conosciuto Pietro Mennea, così ho visto nascere la stella Pietro Mennea nei due anni di frequentazione della pista di Formia. Un giovane che aveva scelto il sacrificio, l’impegno totale,estremo; che aveva un obiettivo da raggiungere nella sua vita di atleta e di uomo: farcela a tutti i costi a lasciare un segno indelebile della sua presenza. Un giovane che voleva dimostrare ed affermare l’esistenza che il sud dell’ Italia poteva avere e produrre campioni come il nord, che un atleta di colore bianco poteva salire sullo stesso podio dei velocisti di colore. Magari, come pensava Pietro, anche batterli.
Ho parlato così con lui questa mattina. Ho preso questo da lui questa mattina mentre lo guardavo, fermo in un riposo eterno.
Mi sei nel cuore, Pietro, perchè con te è trascorsa una parte della mia vita. Anche se solo sportiva.