La difficoltà del Pd a individuare un segretario “di transizione” o un reggente è anche la spia di una questione di fondo che scuote la politica italiana e la società: il meccanismo della cooptazione appare ormai logoro e superato, ma si stenta a sostituirlo.
Le stesse primarie rappresentano un tentativo volto a selezionare in maniera diversa i gruppi dirigenti, ai vari livelli. Tuttavia il prevalere di logiche di cordata o di notabilato sembra riproporre in altro modo i criteri cooptativi. E spostare tutto sul piano della cosiddetta democrazia digitale è un espediente vano e illusorio.
Quel che più ci interessa ora, comunque, è rilevare come ciò costituisca solo un aspetto di un fenomeno più generale. Anche in molti altri ambiti della vita sociale, infatti, vige di fatto la cooptazione, tanto che, specie nel nostro paese, notoriamente non di rado i concorsi pubblici sono pilotati. Da anni, non a caso, si dibatte sull’esigenza di fondare l’assegnazione di mansioni e incarichi sul merito.
Già; ma come? Come definire percorsi alternativi a quelli cooptativi? Si pensi solo alle carriere universitarie. E far leva sulla discrezionalità delle nomine, al fine di sburocratizzare e snellire procedure e pratiche, non potrebbe, nel contesto italiano, accentuare anziché contrastare antichi criteri?
Insomma: un vero rompicapo. Dietro la cronaca politica si celano forse passaggi ed equilibri delicatissimi riguardanti il modo di funzionare complessivo del sistema-paese.
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