E’ iniziata la settima edizione di Filosofia al Mare (8-17 luglio), l’ormai consueto evento che si svolge a Francavilla al Mare e a Ortona, in Abruzzo, avendo come partner editoriale la casa editrice Orthotes. Titolo di quest’anno: Conversazioni sulla bellezza. Abbiamo intervistato Carlo Tatasciore, Direttore scientifico della manifestazione.

  1. Caro Direttore, cosa ha spinto a scegliere il tema della bellezza come filo conduttore dell’edizione 2016 di Filosofia al Mare?

Era inevitabile giungere prima o poi alla bellezza, avendo deciso di focalizzare l’attenzione ogni anno su un tema “classico” della filosofia. Anzi, le confesso che ci avevo già pensato in vista dell’edizione dell’anno scorso, ma poi ho deciso di rinviarlo preferendogli l’amicizia. Il fatto è che tutte le domande che siamo portati a chiamare filosofiche condividono le ben note caratteristiche che Agostino individuò relativamente al tempo: i loro oggetti, cioè, stanno sempre lì a disposizione, sembrano ovvi perché frequente e acritico è il nostro riferirci ad essi, ma quando qualcuno ci chiedesse che cosa essi realmente sono, sarebbe difficile darne in quattro e quattr’otto una definizione.

 

  1. Come spesso capita, tante sono le valenze di tale tema: vi è una bellezza interiore e una esteriore, vi è la bellezza attinente ai sensi e quella attinente all’arte (si pensi all’etimologia della parola “estetica”). Non è facile comprenderle tutte. Cosa pensa al riguardo?

Penso anzitutto che la scelta che le dicevo, quella cioè di affrontare  grandi questioni filosofiche come il bene, la bellezza ecc., sia di per se stessa la più adatta a lasciare alla conversazione un seguito possibile (magari sotto l’ombrellone). L’intento è infatti quello di invogliare alla riflessione e alla crescita di consapevolezza un pubblico che  presupponiamo non esperto. A questa positiva genericità dei temi uniamo però sempre la bravura dei relatori, che si alternano non a fare lezioni, ma a conversare, tra loro e col pubblico. Per quanto riguarda in particolare la bellezza, il suo senso è ben più ampio e complesso e quindi, senza dimenticarne gli aspetti estetici, essa non va identificata soltanto con le questioni moderne di gusto e di arte. Vogliamo ripercorrere insieme anche un po’ della storia di tale nozione, storia in cui troveremo molte cose che forse risulteranno inattese.

 

  1. Rispetto ai possenti e non di rado tragici fenomeni del nostro tempo, soffermarsi sulla bellezza non rischia di rappresentare un tentativo di fuga o una sorta di discorso consolatorio?

Direi di no: proprio al contrario! Anzitutto perché non abbiamo affatto rinunciato nella nostra vita a riferirci alla bellezza, nonostante tutto! Solo che ci rendiamo sempre più conto che essa forse non corrisponde a ciò che ci viene spacciato per tale. Ecco perché a molti risulta intrigante l’invito a ripensarla, con tutti i limiti posseduti da un’occasione come quella che proponiamo, seguendo però la guida di persone che ne hanno tutti i titoli. Anzi, tra loro vi è chi in Italia ha contribuito non poco alla riemersione di un tema che sembrava quasi messo da parte. Si tratta, da un lato, di riscoprire l’ambivalenza intrinseca che ha accompagnato la nozione di bellezza e, dall’altro, capire che per essa potrebbe passare anche la via per superare certi confini propri della nostra esistenza. In particolare, sfogliando il programma, non sfuggirà che vi sarà chi ci intratterrà proprio sul rapporto che può avere la bellezza con i limiti, che crediamo ormai di aver varcato definitivamente.

 

  1. Quale può essere oggi, detto in breve, il rapporto fra il bello e il sublime, sulla scia dell’insegnamento di Kant? Il sublime infatti, come è noto, desta la nostra meraviglia e la nostra ammirazione, ma può anche angosciarci, in quanto si scosta molto da ciò a cui siamo abituati nella vita di ogni giorno.

In un certo modo, questa domanda trova già nella risposta precedente qualche indicazione di risposta. Non distinguerei così nettamente tra bello e sublime nel senso in cui essi si sono imposti nella tradizione moderna. Fermo restando i caratteri diversi e anzi opposti con cui noi reagiamo a quel che ci si presenta nella natura fuori di noi (da cui la distinzione tra bello e sublime e tra sublime matematico e dinamico), ho l’impressione che la nozione di bellezza abbia già in sé alcuni di quei caratteri che la allontanano da un’esperienza, per così dire, di serenità pacificata. Questo carattere ambivalente, che i greci indicavano con il termine thauma (che non vuol dire semplice meraviglia), avvicinava la ricerca della bellezza a quella filosofica della verità. La contraddizione che costituisce il presupposto di un’armoniosa bellezza, il suo repentino “lampeggiare” improvviso senza alcuna staticità, sono solo alcuni dei caratteri che la rendono forse adatta ad accompagnare la nostra “angoscia” contemporanea.

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