Il rifiuto di molti (quasi tutti) i leader dei maggiori partiti e movimenti in lizza a confrontarsi sulle scelte di governo da essi proposte agli elettori del 4 marzo testimonia ancora una volta della caduta di credito e di potere contrattuale dei media sulla nostra scena pubblica. Del secondo forse più che del primo, da tempo perduto, stando a quanto confidato di recente da Michele Santoro a Salvatore Merlo che lo ha intervistato per Il Foglio (23 gennaio): “Fare trasmissioni che non abbiano l’aspetto di una tavola apparecchiata apposta per i politici è diventata una impresa impossibile. I compromessi da ingoiare per avere ospiti i leader che fanno più ascolto sono infiniti. Bisogna fornire in anticipo l’elenco delle domande, concordare l’orario di registrazione, la posizione in scaletta e fornire rassicurazioni sull’andamento della serata che non deve contenere sorprese e imprevisti”.
Dei padroni, quindi, stando a una testimonianza così “dall’interno” della professione (rimasta senza commenti da parte dei media): e anche capricciosi e volubili nel sottrarsi ai confronti mediali su scelte e programmi di governo. Ma non è facile staccare la spina delle “dichiarazioni” che alimentano i “pastoni” quotidiani e i vari “teatrini” e “retroscena” di una comunicazione politica oggi così deplorata? Qualcuno vieta di togliere dalle strade adiacenti ai vari palazzetti della politica la turba di microfoni pronti a scattare verso la bocca di chiunque passi, candidato o no che sia?
La prevalenza di quanto oggi appare uno scempio delle libertà democratiche non è forse il risultato di scelte giornalistiche, editoriali e professionali reiterate nel tempo e da tempo? Perché non provare nei prossimi giorni a fare il “silenzio-stampa” attorno a tutto questo? E offrire ai protagonisti della campagna elettorale spazi e tempo solo per esporre ai lettori e agli spettatori le loro scelte programmatiche, e alle condizioni poste dai giornalisti perché esse siano argomentate e discusse in contraddittorio con gli altri?