Per il sistema elettorale è possibile conciliare soluzioni alternative? Disponendo di due Camere, si può quanto meno tentare.
Sul versante delle candidature, due modalità: per ciascun partito o l’uninominale (una sola candidatura in collegio piccolo), o la lista plurinominale in collegio più grande.  Di fatto quattro soluzioni, dal momento che ciascuna delle due deve utilizzare, sul versante della traduzione dei voti in seggi, o il maggioritario o il proporzionale: versante di sistema, questo, sul quale è vivo il contrasto tra due obiettivi: la governabilità che esige la maggioranza per un solo voto in più), e la rappresentatività, con la proporzione tra voti e seggi.
Si tratterebbe dunque di conciliare le quattro soluzioni tra Camera e Senato, ma alla condizione di far convergere i risultati della seconda e della prima: cioé di bilanciare il premio di maggioranza con le due parti  proporzionali. Posta su questo piano, la soluzione dipenderebbe da elementi tecnico-quantitativi e non più dalla scelta delle modalità (uni o pluri) o del sistema (maggioritario o proporzionale). E potrebbe crearsi  addirittura il clima per introdurre la “sfiducia costruttiva” ed il voto per i diciottenni al Senato, nonché per attuare l’art.49 della Carta.                                     A margine le posizioni divergenti, che ruotano di fatto intorno agli interessi di parte, potrebbero finalmente riconoscere che la fonte della “qualità“ delle candidature e della “correttezza” delle competizioni risiede nel “metodo democratico” fissato dall’art 49 della Carta: e che non è colpa della Repubblica se se ne attendono da 69 anni la traduzione in legge e l’individuazione dei relativi controlli (condizioni per il recupero di credibilità alla politica e della partecipazione al voto).
Negli ultimi tempi, ad imitazione degli Usa (che – con un sistema completamente diverso – hanno prodotto la sconfitta del candidato con il maggior numero di voti nell’ Unione), si sono adottate le cosiddette “primarie aperte”. E però – in assenza e di verifiche preventive della “qualità” (orientamento politico e civile) dell’elettore “libero” e di procedure istituzionalmente certificate – si è aggravato il deficit di “impermeabilità” dei partiti da “corpi impropri”: compresi i portatori d’interessi illegali o in conflitto con quelli generali.
Se la radice  delle questioni connesse al versante delle candidature (uni o plurinominali) risiede nello status dei partiti (peraltro l’art 49 non era tra i “sopprimendi” nel referendum del 4 dicembre), e se siamo ancora nella fase nella quale si è eliminato il finanziamento pubblico – tanto connesso al ruolo pubblico del partito quanto estraneo alla sua consolidata prassi privatistica – non resta che la ricerca di una conciliazione bilanciata ai fini e dell’ armonia tra le Camere e della governabilità.                                                                                                                                                 Proprio la conferma del Senato offre l’occasione di adottare (in misura significativa per ciascuna delle parti) entrambi i sistemi (maggioritario e proporzionale) sia nella versione uninominale (al Senato) che in quella plurinominale (alla Camera): correggendo il proporzionale in senso maggioritario con un premio “non snaturante” anche nella quota del primo.
In definitiva, al Senato si potrebbe adottare il Mattarellum, con modifiche nell’ambito del proporzionale per la convergenza dei risultati “vincenti” di entrambe le Camere; ed alla Camera il sistema utilizzato il 5 aprile 1992, suddivisi i collegi di Roma, Milano e Napoli per precludere il  quorum ai partitini  (in cambio del diritto di tribuna?), ed occorrendo – anche qui – con un premio di maggioranza in direzione dell’agognata “non conflittualità” tra le due Camere.
Se il clima fosse rasserenato dalla ricerca della conciliazione, ci sarebbe anche tempo per modificare l’ art. 58 (voto ai diciottenni per il Senato) e l’articolo 94 (“sfiducia costruttiva”).