Sarebbe troppo facile, parafrasando Garcia Marquez, dire che la crisi finanziaria di Cipro è la “Cronaca di un default annunciato”. Un default che, però, rischia di trascinare con sé l’intera eurozona, dimostrando ancora una volta l’incapacità dell’Unione Monetaria Europea di risolvere i problemi economici e sociali.
Siamo, ormai, ad un passo dal baratro e il rischio non è solo la tenuta finanziaria ma quella democratica dell’Europa, denunciando l’esigenza non più rinviabile di cambiare la rotta.
E’ del tutto evidente che l’austerità imposta dalla Merkel (una sorta di “Quarto Reich” finanziario) è stata un totale fallimento. Le politiche di risanamento delle finanze pubbliche e dei debiti sovrani, imperniate su aumenti delle tasse e tagli sociali hanno innescato una spirale recessiva dell’economia, con il crollo della domanda e della produzione, disoccupazione di massa, povertà diffuse. La verità è che il mito monetarista secondo cui i debitori, gli Stati in questo caso, siano gli unici responsabili, è caduto, evidenziando le responsabilità paritarie dei creditori: Keynes, durante i negoziati che nel 1944 portarono agli Accordi internazionali di Bretton Woods, aveva proposto sanzioni economiche solidali tra stati debitori e creditori. Ecco perché è intollerabile la violenza, che ricorda quella medievale, con cui si vorrebbe colpire i paesi debitori in Europa, come Cipro o la Grecia, per tacere delle autentiche vessazioni fiscali e sociali che hanno devastato l’Italia durante il governo Monti, ancillare nei confronti di quello tedesco.
L’Europa deve cambiare radicalmente la propria politica economica, costruendo una rete di protezione contro la speculazione finanziaria internazionale e nella stessa area dell’euro, in cui gli Stati più deboli subiscono la fuga dei capitali, impoverendo il mercato interno, mentre quelli più forti, in primo luogo la Germania, finanziano il loro debito pubblico e, quindi, imprese, lavoratori e famiglie, grazie a tassi di interesse bassi e convenienti.
C’è bisogno di promuovere senza indugi sviluppo economico e occupazione, introducendo gli eurobond, dando alla Banca centrale europea la funzione di prestatore di ultima istanza, gestendo solidalmente i debiti pubblici degli Stati membri, creando da subito un vero governo europeo con una politica comune nel campo delle finanze, della difesa e degli esteri.
Già, il federalismo europeo che fu il sogno di Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi, Adriano Olivetti e tanti altri, in caso contrario sarà meglio lavorare per la fine consensuale dell’euro e per una Confederazione di Stati basata sul libero scambio. C’è da chiedersi se nella XVII legislatura da poco iniziata, segnata purtroppo dal vento dell’antipolitica e della decadenza della democrazia, abbia qualche coraggioso parlamentare in grado di lanciare un grande appello per l’Europa unita, come quello che promosso con una mozione per l’ “Europa unita”, firmata, dai repubblicani Ugo La Malfa e Oronzo Reale, dal socialista Riccardo Lombardi, dai democristiani (a titolo personale) Vittorino Colombo e Fiorentino Sullo, dal sociologo Franco Ferrarotti del Movimento Comunità di Adriano Olivetti, per andare oltre una visione europea, come ha scritto Ferrarotti, “al più burocratica camera di compensazione fra i vari Stati, incapace di comprendere come ormai la forma-Stato, questa invenzione del tardo Seicento, era ormai una struttura troppo centralizzata, burocratizzata e inevitabilmente estranea alla realtà dei suoi territoriali tessuti sociali di base per rispettare in essi la sede reale della sovranità popolare e nello stesso tempo troppo piccola e limitata, ormai, per dar corso ai grandi investimenti richiesti dall’odierna tecnologia produttiva”. Parole di grande attualità!
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